Sono passati tre anni dalle proteste di piazza a Hong Kong. Poi è arrivata la pandemia e le severe restrizioni imposte in Cina, un nuovo capo dell'Esecutivo e più di 1'300 arresti, molti dei quali tra i giovani. Sabato, infine, è stata inflitta una nuova condanna al magnate dei media Jimmy Lai, sostenitore delle proteste di tre anni fa. Proprio quest’anno inoltre sono stati festeggiati i 25 anni dal primo luglio 1997, data in cui la città, dopo 156 anni di dominio britannico, è tornata sotto il controllo di Pechino con lo status di regione amministrativa speciale.
Il fondatore di Apple Daily, Jimmy Lai, qui nel 2020
“Sono stati tre anni abbastanza fuori dall’ordinario – racconta la giornalista Ilaria Maria Sala, che vive a Hong Kong – da una parte proprio perché queste forti misure anti-pandemiche impedivano alle persone di viaggiare e si sono tradotte in una serie prolungata di lockdown che non hanno mai raggiunto i livelli di severità visti in Cina. Per tre anni hanno comunque imposto l’impossibilità di uscire in gruppi superiori a quattro persone e la chiusura di moltissimi negozi e cinema, per cui hanno tolto alle persone la possibilità di incontrarsi e quindi anche di riflettere su quello che accadeva. Non c’è mai stata una vera e propria fine delle manifestazioni del 2019. È invece arrivata la pandemia che ha imposto uno stop, che continua tutt’ora”.
"Nel nome della salute nazionale"
Le manifestazioni implicano assembramenti vietati durante il covid, ma quanto ha pesato la pandemia durante queste proteste? “Le proteste sono effettivamente capitate in un momento propizio per le autorità – risponde Simona Grano professoressa associata presso l’Istituto di studi sull’Asia orientale dell’Università di Zurigo – Nel luglio del 2020 le autorità elettorali hanno prima squalificato una dozzina di rappresentanti filo-democratici dalle legislative previste per il settembre di quel anno. Il 30 giugno hanno imposto la legge sulla sicurezza nazionale nello stesso mese poi sono state rimandate di un anno le elezioni previste per settembre motivando il rinvio con il covid. Anche altre misure di controllo draconiano hanno fornito a Pechino una sorta di legittimazione per applicare una sorveglianza ancora più pervasiva, tramite per esempio le applicazioni istallate sui telefoni. Tutto ciò con una parvenza di legittimità perché è stato fatto nel nome della salute nazionale”.
John Lee al posto di Carry Lem
Hong Kong ha anche vissuto un cambiamento ai vertici: John Lee ha assunto la carica di capo dell’Esecutivo succedendo a Carry Lem. “Potremmo definire l’ex poliziotto John Lee un uomo per tutte le stagioni – spiega Guido Santevecchi, corrispondente del Corriere della Sera – e anche un uomo che in definitiva non è stato premiato per meritocrazia. Essendo stato tra i consulenti della legge sull’estradizione, che portò all’ultimo grande scoppio di proteste, come minimo non aveva il polso della situazione. La gestione dell’ondata delle proteste del 2019 è stata dura e se n’è occupato lui dopo aver lasciato l’incarico con la polizia ed essere entrato nell’Esecutivo. Ultimamente Pechino ha dimostrato con alcune nomine politiche comprese quelle nel politburo che la meritocrazia e la tecnocrazia non sono il loro primo pensiero”.
Il capo dell'Esecutivo John Lee
"Circa 250'000 persone hanno lasciato la città"
In Occidente negli ultimi due anni e mezzo abbiamo sentito parlare meno di Hong Kong ma lo scontro fra pro-democratici e governo è continuato? “Va fatta una differenza fra il continuare dello scontento e l’assenza di manifestazioni pubbliche, perché il nuovo regime legislativo ha proibito la maggior parte delle manifestazioni ed era anche proibito assembrarsi per via del covid – spiega Ilaria Maria Sala – I momenti più significativi per raccontare lo stato d’animo a Hong Kong sono da un lato il numero di persone che hanno deciso di lasciare la città: circa 250'000 persone, che dall’imposizione della legge sulla sicurezza nazionale sono emigrate. Ci sono poi stati alcuni momenti che hanno mostrato come continui a esistere la voglia di democrazia. Il momento più imprevisto è stato quando ci furono i funerali della regina Elisabetta con code che duravano ore fuori dal consolato britannico per firmare il libro del cordoglio in cui le persone hanno però modificato le frasi di cordoglio in riflessioni che chiedevano democrazia”.
Giornalisti in difficoltà
L’arresto di Jimmy Lai ha provocato un certo timore all’intera categoria professionale dei giornalisti dice Ilaria Maria Sala: “dobbiamo considerare che Apple daily era uno dei principali quotidiani di Hong Kong e quindi impiegava molte persone. Come conseguenza queste persone ora non trovano lavoro. La situazione della stampa in lingua non cinese è relativamente modificata. Chi invece si ritrova con una censura che a Hong Kong non si era mai vista è ovviamente la stampa di lingua cinese. Apple daily era l’unico quotidiano di queste dimensioni che utilizzava il cantonese per dare le notizie e questa era anche una forte affermazione di differenza culturale. Oggi poi nelle scuole, sulla stampa e sulla televisione assistiamo anche a un tentativo molto forte di limitare la lingua cantonese”.
Proteste contro le misure sanitarie a Hong Kong
"Jimmy Lai, una figura eroica"
Jimmy Lai non ha lasciato il Paese ed è stato arrestato. “ Qualche settimana fa ho chiesto il motivo al figlio – racconta Guido Santevecchi – Mi ha detto che il padre, che ha passaporto britannico, è rimasto a Hong Kong perché a suo modo di vedere partire sarebbe stato delegittimare tutto il movimento democratico. Sicuramente una figura eroica e poi basti pensare l’ultima condanna ricevuta in carcere il 10 dicembre, giorno in cui si celebrano i diritti umani. È stato un segnale per tutti, anche per la comunità internazionale”.
Proteste nella Cina continentale
Di manifestazioni ce ne sono state anche nella Cina continentale e hanno portato Pechino a cedere almeno in parte alle richieste dei manifestanti, ma perché Pechino cede sul continente e a Hong Kong usa il pugno di ferro? “La premessa è che il paese sta rallentando la sua crescita economica – risponde Simona Grano – e dalla fine degli anni 2000 i propulsori della crescita si sono bloccati o addirittura completamente invertiti. Il Paese sta inoltre affrontando un punto di svolta demografico con conseguenze fiscali ed economiche devastanti. Se aggiunge i danni provocati da questi lockdown e dalla disoccupazione giovanile è facile capire come manchino prospettive di crescita totale e questo per la Cina è nuovo. A mio parere il problema è quindi l’economia, ecco perché in Cina continentale si cerca di rilassare le regole anti-covid. Non sono state le proteste dei cittadini a spostare l’ago della bilancia. Infine va detto che le richieste dei cittadini sono diverse da quelle di Hong Kong”.
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