I figli stanno meglio dei genitori. E i genitori stavano meglio dei nonni. Negli ultimi 30 anni, questo principio in Cina è stato pressoché inscalfibile. Prima il nuovo impulso dato alle riforme e aperture dal 1992 dal “piccolo timoniere” Deng Xiaoping, poi l’integrazione nel sistema internazionale certificato dall’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001, infine il lancio di ambiziosi piani economico-diplomatici come la Nuova Via della Seta all’alba dell’era del presidente Xi Jinping. Per qualche decennio, i cinesi hanno sempre guardato al futuro con fiducia, convinti che sarà migliore. Non a caso, è stato coniato il termine “sogno cinese”.
Questo sentimento di fiducia sembra ora almeno in parte svanito. Prima la pandemia di Covid-19, poi la ripartenza non ancora piena dell’economia, infine le turbolenze globali che rischiano di mettere a repentaglio la tela diplomatico-commerciale pazientemente intessuta dal governo cinese.
Già da qualche anno, i giovani cinesi mostrano più preoccupazione sul loro futuro. Nel 2023 è diventato virale il termine liulang. Letteralmente, “alla deriva”. È l’espressione con cui diversi esponenti della generazione Z si riferiscono al nuovo stadio di disillusione. Molti di loro, spesso laureati, appaiono rassegnati ad abbandonare la speranza di trovare un’occupazione stabile e di buon livello. Altri sono tentati di lasciare gli studi. Non si tratta solo di decimali, ma di un sentimento più profondo: per la prima volta dopo tanto tempo le generazioni più giovani sono pessimiste sul proprio futuro. Per la prima volta dopo tanto tempo, i figli pensano che potrebbero passarsela peggio dei loro padri.
Il “consumo inverso”
Adesso c’è un’altra formula che ha conquistato i social media cinesi: fanxiang xiaofei, vale a dire “consumo inverso”. Che cosa significa? Adottare uno stile di vita più attento, cauto, in certi versi “frugale”. Si tratta infatti di una tendenza che si è diffusa nelle generazioni più giovani e che implica non solo un approccio più cauto alla spesa, ma anche un decisivo cambio di prospettiva. Se “consumo razionale” (altro termine molto diffuso sui social cinesi negli anni scorsi) implicava infatti un cambiamento momentaneo di stile degli acquisti dovuto più a contingenze esterne e a tempi incerti, “consumo inverso” mette in discussione il principio secondo cui prezzi elevati significano sempre una migliore qualità. Di più: mette in discussione lo stesso principio della necessità di spesa. Tra le strategie più comuni adottate dai giovani cinesi, c’è la ricerca spasmodica di sconti per l’e-commerce, consumare i pasti in ristoranti o “bettole” a buon mercato (che effettivamente spesso in Cina hanno poco da invidiare a ristoranti più quotati in termini di bontà del cibo), fare uso di app per accaparrarsi le eccedenze alimentari dei negozi e dei supermercati. In alcuni casi c’è anche chi si serve delle mense comunitarie. Per chi va in vacanza o a trascorrere il fine settimana fuori porta, i soggiorni nei templi sono diventati un’alternativa popolare agli hotel. Si spende infinitamente meno e si ha anche spazio per la meditazione.
Un bel problema, in un momento in cui invece la Cina avrebbe estremo bisogno di rilanciare le spese private. La generazione Z rappresenta peraltro un segmento chiave per le prospettive di rilancio dei consumi, di cui Pechino ha bisogno per ridurre la dipendenza della propria economia dalle esportazioni. Si tratta di una necessità anche per proseguire la non semplice transizione del suo modello di sviluppo, che Xi vorrebbe più lontano dall’antica etichetta di “fabbrica del mondo” e più vicino a quella di “società di consumi ad alta qualità”.
La disoccupazione tra i giovani
Eppure, i giovani cinesi vivono un periodo di relativa incertezza. Nel luglio 2023, prima della sospensione della comunicazione dei dati, la disoccupazione giovanile urbana era arrivata al 21,3%: un record. Dato poi rivisto al ribasso nei mesi scorsi dopo la revisione dei metodi di calcolo. Ma il problema rimane. Sempre più laureati in Cina hanno faticato a trovare un lavoro negli ultimi anni: già nel 2021, oltre il 70% dei giovani disoccupati nelle aree urbane tra i 16 e i 24 anni aveva conseguito un titolo di studio presso un istituto superiore e oltre il 42% aveva conseguito una laurea o un titolo superiore. Nel 2023 circa 5,7 milioni di persone nei settori dell’istruzione, dell’immobiliare e dell’edilizia erano senza lavoro, con un aumento del 73% rispetto al 2019. Di questi, circa 1,3 milioni erano giovani lavoratori, più del doppio rispetto a quattro anni fa.
Il calo delle nascite
Da qui si spiega anche il calo delle nascite, che passa attraverso le difficoltà dei giovani cinesi di riuscire a comprare casa e mettere su una famiglia. Con questo si spiega il desiderio di praticare, appunto, un “consumo inverso”. Non si tratta di una storia che riguarda solo i giovani cinesi. La minore propensione alla spesa può riflettersi anche sul ruolo internazionale della Cina e sui suoi rapporti diplomatici. Basti pensare che qualche settimana fa, durante la sua visita nel Paese asiatico, la Segretaria al Tesoro statunitense Janet Yellen ha sollecitato Pechino a fare di più per convincere i cittadini a spendere, anziché risparmiare, per assorbire la sua sovraccapacità industriale che può avere un effetto sui prezzi globali. Per la Cina è finito il “ventennio delle opportunità strategiche” profetizzato dall’ex presidente Jiang Zemin nel 2002, lasciando il posto alle “acque turbolente” di cui ha parlato molto Xi durante il XX Congresso del 2022, quando ha ricevuto il terzo mandato da segretario generale del Partito comunista. Ora deve mostrare ai cinesi che quelle acque si possono navigare con sicurezza, per provare a convincere i giovani che il futuro potrebbe dopotutto non fare così paura.
SEIDISERA del 24.04.2024 - La corrispondenza di Lorenzo Lamperti
RSI Info 20.04.2024, 21:53
Contenuto audio