Stati Uniti d'America (USA), un paese che ama i superlativi . Qui tutto è oversize, e anche la politica non poteva farsi mancare il suo Super Tuesday, il super martedì. È, questo, il giorno in cui si attribuisce il maggior numero di delegati di tutta la corsa verso la nomination. Un’invenzione che risale al 1988, quando gli strateghi del partito democratico decisero di dare più peso nel processo di selezione agli Stati del Sud, accorpando le primarie di numerosi Stati in un unico giorno. Il Super Tuesday, appunto.
Dodici Stati
Quest’anno gli elettori democratici e repubblicani sono chiamati a votare in dodici Stati. Niente a che vedere con il 2008, quando si votò in ben 24 Stati - e infatti ai media americani non sembrò vero poterlo ribattezzare
il "Giga Tuesday" - ma comunque una bella fetta dell’Unione. E, per i candidati, una bella fetta di delegati da conquistare.
La mappa del Super Martedì
RSI 01.03.2016, 09:42
Qualche numero: tra i repubblicani, il Super Tuesday 2016 mette in palio 597 delegati dei 1237 necessari per strappare la nomination, con il Texas - e suoi 155 delegati - a fare la parte del boccone più prelibato. 1'004 sono invece i delegati in gioco per i candidati democratici, con l’asticella per conquistare la nomination fissata a 2383.
I frontrunners: Donald Trump, l’imprenditore miliardario anti-establishment che sta squassando il partito repubblicano, arriva al Super Tuesday forte del bottino di 82 delegati racimolati nei primi quattro scrutini. E sembra destinato a finire primo in almeno undici dei dodici Stati in cui si vota, con l’eccezione del Texas (dove i sondaggi lo danno testa a testa con il senatore Ted Cruz che gioca in casa).
Sul fronte democratico, Hillary Clinton dovrebbe consolidare - forse in modo decisivo - il suo comando su Bernie Sanders, sulla scia del trionfo in Carolina del Sud e forte del sostegno decisivo dell’elettorato afroamericano.
Le incognite del super martedì...
La storia insegna: il super martedì può resuscitare una candidatura oppure affossarla del tutto, può staccare il biglietto one-way verso la nomination o annichilire tutti i sogni di gloria (sempre che una campagna, come accaduto con Jeb Bush, non si estingua addirittura prima del martedì che conta maggiormente nella politica americana).
...il "caso" Bill Clinton
Un esempio su tutti, il 1992. Quell’anno, il Super Tuesday fece spiccare il volo a Bill Clinton dopo un avvio di campagna disastroso - in Iowa il futuro presidente non aveva racimolato che un misero 2,8% delle preferenze! - alimentando la leggenda del "comeback kid" e spianandogli la strada verso la Casa Bianca.
Vedremo se questo super martedì riserverà sorprese. Ma se i sondaggi c’azzeccano, una cosa sembra quasi certa: il Super Tuesday 2016 rischia di passare alla storia come il clamoroso Super "Trumpday".
Andrea Vosti
Fin qui il "Super Tuesday", ma, qual è lo scenario che fa da contorno alla corsa per la candidatura alla Casa Bianca? Emiliano Bos è andato in Messico e da lì ha guardato il Texas che , come ci ha spiegato Vosti, è lo Stato che fa maggiormente gola ai candidati. Ecco il suo reportage.
Confine Messico-USA, l'attesa
Reportage da Nuevo Laredo, la città di confine dove i migranti provano a entrare illegalmente negli Stati Uniti. Molti sono “ deportados” che vogliono tornare dalle proprie famiglie in USA
Alejandro singhiozza. Riesce a dire che suo figlio è nato 4 giorni fa. In Florida. Maledetta America. Sembra lontanissima, irraggiungibile. Invece è lì, appena dopo il Rio Bravo. Adesso, di bravo, serve solo un “coyote”. Qui tutti lo cercano. Ci vuole fiuto per trovare quello giusto, un trafficante di uomini capace di farti passare il confine. Illegalmente, certo, basta pagare 3 o 4mila dollari. “Altrimenti ti derubano e ti picchiano” balbetta Alejandro. Lui, negli Stati Uniti, ci vuole tornare perché dall’a ltra parte di questa frontiera ci ha abitato per 6 anni. Era “ undocumented”, uno degli 11 milioni di immigrati presenti sul territorio americano senza le carte in regola. Lo hanno deportato nel suo paese di origine, l’Honduras. Ma lui è subito ripartito, perché sua moglie era incinta. Adesso il piccolo è nato. E lui resta inchiodato qui a Nuevo Laredo, anticamera messicana degli Usa. In mezzo c’è solo quel fiume.
Donald Trump – e con lui un altro candidato, il senatore Ted Cruz - vorrebbe costruire un muro lungo duemila miglia per fermare tutti gli Alejandro, anche quelli che tengono già famiglia in Usa. O tutti i Pedro Ramos, che invece la famiglia vorrebbe portarla. Li incontro entrambi nella “Casa del Migrante”, una piccola struttura dei missionari scalabriniani alla periferia di Nuevo Laredo. La sagoma a zig-zag del fiume separa questa parte della città da Laredo, che è già Texas. America. Terra Promessa.
È domenica. Pedro Ramos, Alejandro, José Garcia e altri 4 sono arrivati da poco qui. Hanno viaggiato per settimane. Cercano un riparo e un piatto caldo. Il responsabile della casa, padre Alfredo Camarena, celebra messa nel refettorio. Poi si apparecchia. Percorsi, rotte e paure s’incrociano su questi tavoloni. Per Pedro Ramos è la prima volta. Lui è messicano, ma la famiglia vive in Honduras. “A San Pedro Sula”, racconta. Una delle città più violente dell’intero Centroamerica. “Ti ammazzano per strada per rubarti un cellulare”, sussurra Pedro Ramos. Per questo è partito. Per questo vuole portare la sua famiglia negli Stati Uniti. Il suo “ sogno americano” è lavorare con un taxi, come quello che guidava in Honduras. “Ma lì ci sono le pandillas, le bande giovanili che rendono la vita impossibile”.
Barack Obama non è riuscito a riformare la legge sull’immigrazione. Anzi, ha aumentato le deportazioni dei migranti illegali. “Fino al 2017 non riusciremo a discutere nessuna riforma” mi dice il deputato democratico Henry Cuellar, un avvocato di Laredo. Sostiene che i migranti illegali vadano deportati. Anche quelli che hanno famiglia e figli americani, nati negli States?, gli chiedo. Si, risponde. La legge va rispettata. Ma tocca a lei, come deputato, cambiare questa norma - insisto. Se ne riparlerà dopo le elezioni presidenziali, taglia corto il congressman.
Alejandro può aspettare. Suo figlio, intanto, cresce senza il papà.
Emiliano Bos