Le inchieste di questi mesi della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro hanno fatto emergere una serie di operazioni commesse da membri della ‘ndrangheta, la mafia calabrese, basati nel canton Ticino allo scopo di riciclare denaro, svuotare conti e spostare fondi che non sarebbe altrimenti stato possibile muovere. Una rete di affari che va dalla Spagna alla Bulgaria, da Stoccarda a Como; protagonisti industriali catalani e faccendieri russi.
Al centro dell’inchiesta la cosca Megna di Papanice, frazione di Crotone. Oltre cento gli indagati, 43 le persone finite in carcere nelle scorse settimane. Tra loro due hacker: un 45enne italiano e un tedesco di 57 anni, definito “il fulcro informatico del sodalizio”. Le sue conoscenze, unite alla compiacenza di bancari corrotti, sarebbero servite innanzitutto a riciclare (o quanto meno a tentare di farlo) i proventi milionari del clan. Soldi guadagnati con il traffico di droga da reinvestire nell’economia legale.
Quali strumenti ha la piazza finanziaria ticinese per difendersi dalla mafia 2.0, che usa il computer più che il revolver? Il Quotidiano ne ha parlato con Alberto Petruzzella, presidente dell’associazione bancaria ticinese e con Alessandro Trivilini, responsabile del servizio di informatica forense della SUPSI.