Fino a trentaquattro anni di età si è occupato di modelli matematici applicati alle scelte di business e d’investimento all’interno di banche d’affari fra New York e Parigi. Poi la scelta di studiare teologia all’interno della Compagnia di Gesù, e quindi l’ordinazione sacerdotale arrivata a quarantatré anni, con le porte dell’insegnamento che gli si aprono alla Georgetown University di Washington dove ancora oggi insegna economia e dirige il Programma per la giustizia ambientale, da lui fondato. A suo tempo consigliere personale del presidente Francois Hollande, è a lui che Papa Francesco si rivolge per consigli in merito a uno dei temi che più gli stanno a cuore, la crisi ambientale.
Gaël Giraud, 52 anni, gesuita, entra spesso in Vaticano per cercare di sensibilizzare la Chiesa cattolica sulla cosiddetta transizione ecologica, a suo dire “l’ultima possibilità che ha l’uomo per salvare il creato”. E per dire che non si può oggi essere credenti cristiani senza "ascoltare il grido del creato stesso: ascoltarlo è come ascoltare quello dei poveri".
Gaël Giraud
La conversione all’ecologia
È stato un percorso lungo quello che ha portato Giraud a comprendere che la crisi ambientale sia oggi la priorità a cui il mondo deve guardare se vuole sopravvivere. Come Francesco che nel 2007, durante un’assise ad Aparecida, criticò i vescovi brasiliani perché parlavano troppo del problema della foresta amazzonica salvo poi "convertirsi" e dedicare il testo più importante del suo pontificato ai temi ambientali nell’enciclica “Laudato si’”, così anche Giraud è passato dalla possibilità concreta di fare il trader a Wall Street a girare il mondo per portare più Paesi possibili ad abbracciare una transizione ecologica ultima àncora di salvezza per il pianeta. Francesco crede a tal punto in lui che il suo ultimo lavoro, “La rivoluzione dolce della transizione ecologica”, è stato pubblicato direttamente dalla Libreria Editrice Vaticana.
Fino a quando resisteremo
"Nel giro di trent’anni – racconta Giraud – avremo a che fare con trasmigrazioni di popoli dal Sud verso il Nord i cui esiti non saranno facili da prevedere. Occorre iniziare da subito a mantenere il riscaldamento globale sotto i 2 gradi centigradi, per raggiungere l’obiettivo di prevenire pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico terrestre”. La ricetta per riuscirci non è semplice: "Occorre diminuire le emissioni di gas serra nella consapevolezza che la cattura e stoccaggio del carbonio industriale porteranno all’assorbimento di solo una quantità marginale di carbonio rilasciato nell’atmosfera: la conseguenza è che tutta l’umanità deve puntare a emissioni prossime allo zero entro l’ultimo quarto di secolo. Così si stabilizzerebbe la temperatura globale”. Alternative, sostiene Giraud, non ce ne sono. Continua: “Ed anche quei Paesi più industrializzati e più a Nord del globo che pensano che da loro si potrà comunque sopravvivere si sbagliano: non esiste un Eldorado in cui rifugiarsi: con temperature costantemente sopra di 6-7 gradi centigradi la fine è inevitabile per tutti”.
Le crisi già in atto
In diversi Paesi i cambiamenti climatici stanno già ridisegnando città e territori in modo ineludibile. Dice Garaud: “Oggi, a differenza della fase preindustriale, la temperatura del globo è già salita di 1,09 gradi nel periodo 2011-2020. E la causa è da rintracciare nelle attività umane. L’innalzamento degli oceani ed anche lo scioglimento dei ghiacciai sono fenomeni da cui non si torna indietro. Di qui a cento anni le terre emerse assumeranno volti completamente nuovi. L’Indonesia, ad esempio, ha cambiato capitale a causa del mare che ha invaso parte di Giacarta. Mentre si prospetta che nel 2050 metà Bangladesh sarà sommerso”.
Un piano per città e finanza
Per fermare questa deriva il piano di Giraud è preciso e dettagliato: “La transizione ecologica – spiega - significa l’abbandono delle energie fossili a favore di quelle rinnovabili, come il solare, l’eolico, oppure energie poco inquinanti: a Parigi funzionano già i taxi a idrogeno. Inoltre, un forte e radicale rinnovamento termico degli edifici, o creare cittadine densamente popolate, collegate tra loro con mezzi di trasporto pubblici”. E ancora: “La finanza potrebbe rivestire un ruolo decisivo se decidesse di sostenere la transizione ecologica, che ha un costo significativo - per la Francia, il 2 per cento del Pil e 20 miliardi di euro da parte del settore privato. Ma non è una somma così grande se la si confronta con un dato di fatto ineludibile: o realizziamo la transizione ecologica oppure dovremo sopportare rapidamente le irreversibili conseguenze climatiche a livello globale. Le banche hanno un peso considerevole perché, secondo un rapporto che ho pubblicato lo scorso anno, le 11 maggiori banche europee investono dal 95 al 110 per cento del loro budget in fondi legati ai combustibili fossili. Ciò significa che, se davvero la politica scegliesse la strada della transizione ecologica, queste banche chiuderebbero subito: si deve dunque agire a questo livello finanziario per trovare soluzioni compatibili con la transizione ecologica».
Combattere le resistenze
Certo, non è facile. Anche nella Chiesa cattolica, spiega Giraud, ci sono nicchie che resistono. Alcune sono legate, più o meno consapevolmente, a gruppi di potere nordamericano storicamente a loro volta legati agli imprenditori del petrolio e alle banche loro affini che non vedono bene una radicale svolta green. Ma, dice ancora Giradu, “è necessario che i governi se ne liberino se vogliamo avere un vero futuro per il nostro pianeta e le prossime generazioni”. E conclude: “Io non sono contro le banche, esse hanno un ruolo molto importante nello sviluppo economico e possono averne uno altrettanto grande in un’economia autenticamente verde. Va evitato il green-washing, cioè quella spruzzata di verde che le banche usano per presentarsi in una luce positiva ai clienti, mentre invece non cambiano il loro approccio strategico sugli investimenti energetici. Pensate alla forza di un movimento popolare se dicesse alle banche: Toglieremo i nostri soldi dai vostri conti correnti se continuerete a finanziare le aziende produttrici di petrolio… Sarebbe una rivoluzione!".
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