Sono lontanissimi i tempi in cui troneggiava al vertice della diplomazia di Washington. Eppure, con le sue analisi, rimane sempre una personalità di riferimento per decifrare le complesse dinamiche della politica internazionale. Henry Kissinger ha raggiunto proprio oggi, sabato, il traguardo dei 100 anni di vita. Una storia, quella dell'ex segretario di Stato americano, che prese le mosse dalla natia Germania per poi svilupparsi oltre l'Atlantico nel solco di un'impetuosa ascesa: prima in campo accademico e poi ai massimi livelli della politica statunitense.
Le origini
Nato il 27 maggio 1923 in una famiglia ebraica di Fürth, in Baviera, dovette con essa riparare in America, nel 1938, per sfuggire alle persecuzioni naziste. Kissinger acquisì in seguito la cittadinanza statunitense e prese parte alla Seconda Guerra Mondiale in un'unità dell'intelligence militare. Le sue capacità, apparse già allora fuori dal comune, gli valsero, benché fosse solo un soldato semplice, incarichi di amministrazione civile e di denazificazione in alcune località della Germania occupata.
Università di Harvard, dicembre 1968: l'ultimo seminario diretto da Henry Kissinger, prima di lasciare l'insegnamento per dedicarsi alle funzioni di consigliere per la sicurezza nazionale
Qualche tempo dopo il rientro in America, la scelta determinante della sua vita: Kissinger decise infatti di dedicarsi allo studio della scienza politica e ottenne di essere ammesso all'Università di Harvard. Fu l'inizio di una brillante carriera accademica: dalla laurea al dottorato di ricerca, nell'arco di pochi anni, fino all'assegnazione di una cattedra nel prestigioso ateneo. Dalla fine degli anni Cinquanta si mise sempre più in luce con le sue analisi sulle dinamiche della Guerra Fredda, per poi entrare nella cerchia dei più stretti collaboratori di Nelson Rockefeller, allora governatore dello Stato di New York ed esponente di spicco del partito repubblicano.
I successi diplomatici
Negli anni Sessanta, forte ormai di una riconosciuta autorevolezza, svolse a più riprese consulenze in materia di politica estera per le amministrazioni Kennedy e Johnson. Ma la grande svolta arrivò alla fine del decennio con l'elezione alla presidenza di Richard Nixon, il quale lo designò consigliere per la sicurezza nazionale. Fu in questo ruolo che Kissinger iniziò a imprimere un approccio inedito alla diplomazia degli Stati Uniti. Erano gli anni in cui l'America cercava affannosamente una via d'uscita dalla rovinosa guerra in Vietnam. E Kissinger, di concerto con il nuovo capo della Casa Bianca, la individuò in colloqui segreti con l'emissario nordvietnamita Le Duc Tho e nel disgelo con la Cina di Mao, coronato dalla storica visita intrapresa da Nixon nel 1972. Parallelamente prese corpo la cosiddetta "vietnamizzazione" del conflitto, con un graduale ritiro delle forze statunitensi. Nei confronti dell'Unione Sovietica, invece, la ricerca della distensione si articolò intorno al cosiddetto linkage: una strategia che vincolava i progressi su un dato dossier, agli sviluppi registrati in altri settori cruciali per le relazioni fra le due superpotenze.
PHOTOGALLERY: Kissinger e l'amministrazione Nixon
Questi orientamenti diedero i loro frutti nella prima metà degli anni Settanta. Nel 1972 venne siglato il primo trattato con l'URSS per la limitazione degli armamenti strategici (SALT I). L'anno seguente, la firma degli accordi di Parigi sul Vietnam sancì un cessate il fuoco e la fine dell'intervento militare degli Stati Uniti. Sull'onda di questi risultati, Kissinger assunse le redini del Dipartimento di Stato americano e insieme a Le Duc Tho, per l'esito dei negoziati sul Vietnam, venne anche insignito del premio Nobel per la pace. Poco dopo la sua nomina a ministro degli esteri, diede un ulteriore saggio delle sue capacità diplomatiche durante la grave crisi sorta con la guerra del Kippur. Kissinger organizzò un massiccio ponte aereo per rifornire le forze d'Israele colte di sorpresa dall'attacco egiziano. Ma in seguito, quando lo Stato ebraico passò nettamente alla controffensiva, si adoperò anche in modo che all'Egitto di Sadat fosse risparmiata una sconfitta umiliante. Ciò gettò le basi per un successivo dialogo fra i due Paesi e per il processo destinato a sfociare, alcuni anni dopo, nella normalizzazione dei loro rapporti.
PHOTOGALLERY: Kissinger e la gestione delle crisi internazionali
Fin qui, gli esiti di un'azione diplomatica imperniata sull'equilibrio di forze fra le potenze inteso come migliore garanzia per la preservazione della pace. Il disegno strategico di Kissinger apparve vincente, ma sarebbe poi entrato fortemente in crisi a causa del Watergate. Kissinger uscì indenne dalla vicenda sfociata nelle dimissioni di Nixon. Tuttavia, a seguito dello scandalo, il Congresso fece maggiormente valere le sue prerogative anche nel campo della politica estera, col risultato di restringere i margini d'azione dell'Esecutivo. La conseguenza più vistosa fu rappresentata dal crollo, nel 1975, del Vietnam del sud. La sua sopravvivenza, dopo la tregua sancita dagli accordi di Parigi, dipendeva di fatto dal sostegno economico e dalle forniture militari degli Stati Uniti. Ma la cessazione dei finanziamenti decisa dal Congresso, malgrado le insistenze del segretario di Stato americano, finì per spianare la strada all'offensiva finale e alla vittoria dei nordvietnamiti.
Le ombre
Negli stessi anni la fama di abile diplomatico di Kissinger, confermato nel suo ruolo dal nuovo presidente Gerald Ford, iniziò ad essere offuscata da molte controversie che, ancora oggi, mantengono storicamente tutto il loro peso. Divenne così a più riprese bersaglio di sentimenti antiamericani per l'accusa di perseguire una Realpolitik così stretta, in funzione degli interessi di Washington, da sconfinare nella spregiudicatezza e nel cinismo: di qui il suo sostegno alle incursioni del 1970 in Cambogia, ai regimi militari in Sudamerica e l'avallo all'invasione indonesiana di Timor Est che, nel 1975, si risolse in un bagno di sangue. Tuttora molto discusse, in relazione all'Italia, sono anche le pressioni, al limite dell'ingerenza, che esercitò intorno alla metà degli anni Settanta per prevenire un possibile ingresso dei comunisti nel Governo.
PHOTOGALLERY: Kissinger e i suoi detrattori
Denunce ben più esplicite sarebbero arrivate molti anni più tardi, quando iniziò a farsi strada, dopo l'arresto a Londra di Augusto Pinochet (1998), il principio della giurisdizione universale per i crimini di guerra e contro l'umanità. Più attivisti dei diritti umani hanno quindi invocato l'incriminazione di Kissinger per il suo ruolo nelle vicende sopraccitate, e in molte altre ancora, accusandolo in particolare di aver fomentato il golpe cileno che portò alla deposizione e alla morte di Allende nel settembre del 1973. Particolarmente attivo sul fronte delle accuse fu il giornalista e scrittore Christopher Hitchens, che nel 2001 attaccò l'ex segretario di Stato americano in un libro che fece una certa sensazione a livello internazionale. A tutt'oggi Kissinger, va rilevato, non ha dovuto affrontare perseguimenti giudiziari per le accuse a lui rivolte. Ma la risonanza delle stesse ha comunque sollevato più interrogativi sul suo operato di statista.
L'attualità di Kissinger
L'esperienza all'Esecutivo di Kissinger si esaurì nel 1977, con la fine dell'amministrazione Ford. Da allora in poi non ha più ricoperto incarichi a livello governativo. Ma è restato ben presente sulla scena, quasi come una sorta di Grande Vecchio della politica estera, e mantenendo un indubbio ascendente sull'establishment statunitense. Sempre attivo come studioso e conferenziere, continua a dirigere una società di consulenza geopolitica da lui stesso creata. Il suo operato durante le presidenze Nixon e Ford continua a suscitare opinioni contrastanti. Largamente riconosciuto, invece, è ancora oggi lo spessore delle sue analisi sulle relazioni internazionali. Tanto più se riferite ad una realtà, quella attuale, che è certamente assai diversa dall'epoca che lo vide alla guida del Dipartimento di Stato americano.
VIDEO - Henry Kissinger in collegamento con Davos durante l'ultima edizione del Forum economico mondiale (WEF): l'ex segretario di Stato americano ha illustrato le sue considerazioni sulle prospettive legate alla guerra in Ucraina
Di questa profondità di giudizio, nonostante l'avanzatissima età, Kissinger ha dato prova in più occasioni anche negli ultimi anni. Segnatamente in relazione alla guerra in Ucraina e ai fattori che l'hanno determinata. Dopo l'invasione russa sono stati in molti a ricordare le riflessioni, premonitrici, con cui l'ex segretario di Stato americano aveva messo in guardia l'Occidente, alcuni anni prima, dai rischi legati ad un'attrazione di Kiev nell'orbita della NATO. Solo recentemente, e alla luce della piega ormai assunta dal conflitto, Kissinger ha dichiarato che non sarà certo più praticabile l'opzione di un'Ucraina neutrale. Al tempo stesso ha anche sottolineato la necessità di affrontare sul piano politico la questione della fine del conflitto, dando per l'avvenire alla Russia l'opportunità di reintegrarsi nel quadro internazionale.
"Statista di lungo corso è un termine abusato. Ma Kissinger lo è e vale la pena ascoltarlo": con queste parole il Financial Times ha recensito Leadership: six studies in world strategy, l'ultimo saggio dato allo stampe, proprio lo scorso anno, dall'ex segretario di Stato americano. Un giudizio, quello del quotidiano britannico, che ben si attaglia ad una delle figure politiche più influenti della seconda metà del Novecento. Uomo certamente discusso, controverso. Ma sempre capace di riflessioni di peso. Anche su un contesto geopolitico così pieno di incognite, come quello presente.
Alex Ricordi
Notiziario 10.00 del 27.5.2023 La notizia
RSI Info 27.05.2023, 10:17
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I 100 anni di Henry Kissinger
Telegiornale 27.05.2023, 12:30
Henry Kissinger compie cent'anni
Telegiornale 27.05.2023, 20:00