È un aiuto importante, una prova che la ricerca svizzera ha raggiunto un livello di eccellenza: 56,4 milioni di dollari provenienti direttamente dagli Stati Uniti alimentano oggi il sistema universitario elvetico, secondo la banca dati ufficiale che traccia le spese del Governo statunitense, consultata dalla cellula dati di RTS.
Gli atenei svizzeri sotto pressione (Forum, RTS, 22.04.2025)
Questi fondi pubblici d’oltreoceano permettono di finanziare progetti di ricerca in una decina di atenei svizzeri, come l’Università di Berna, i Politecnici federali di Losanna e Zurigo, o ancora l’Università di Ginevra. Ma le recenti decisioni di Donald Trump potrebbero trasformare questi finanziamenti in una forma di pressione.
Queste sovvenzioni sono concesse nella maggior parte dei casi dal Dipartimento della difesa americano o dai National Institutes of Health (NIH), che comprende 27 istituti e centri. In totale, negli ultimi dieci anni, sono stati distribuiti circa 136,7 milioni di dollari a una quindicina di istituzioni svizzere.
Cifre certamente elevate, ma che rappresentano una goccia nel mare rispetto alle sovvenzioni del Fondo nazionale svizzero. A titolo di confronto, quest’ultimo ha distribuito un totale di 6,38 miliardi di franchi alle università cantonali e 2,77 miliardi al settore dei Politecnici federali tra il 2014 e il 2024. Tuttavia, poiché il sistema di sovvenzioni elvetico è stato sotto pressione negli ultimi anni, gli aiuti americani permettono alle istituzioni di diversificare le loro fonti di finanziamento.
In cima alla lista dei beneficiari c’è l’Università di Berna. Secondo la banca dati governativa, attualmente partecipa a 15 progetti cosiddetti “US Federal”, in particolare nei settori della biomedicina e della ricerca spaziale, e ha potuto beneficiare di 16,3 milioni di dollari. Nell’arco di dieci anni, il budget globale dei progetti finanziati ammontava a 43,2 milioni di dollari in sovvenzioni dirette e indirette. L’università precisa tuttavia che la maggior parte di questo importo è stata trasferita ai partner dei progetti.
“La quota di sovvenzioni statunitensi nel nostro finanziamento è rimasta inferiore all’1%. La dipendenza dell’università dagli Stati Uniti è quindi bassa”, precisa Brigit Bucher, responsabile della comunicazione dell’Università di Berna. “Ma cambiamenti nella politica di ricerca statunitense - in particolare tagli di bilancio o modifiche delle condizioni di finanziamento - potrebbero avere conseguenze sui progetti in corso o futuri”.
Anche il Politecnico federale di Losanna (EPFL) mantiene stretti legami con gli Stati Uniti. L’istituto romando è coinvolto in una trentina di progetti attualmente finanziati da Washington, con un budget complessivo di quasi 15 milioni di dollari. In totale, negli ultimi dieci anni sono stati distribuiti 30,4 milioni di dollari di sovvenzioni pubbliche statunitensi, in gran parte dal Dipartimento della difesa.
Pericolo per la cooperazione scientifica
C’è preoccupazione anche al Politecnico federale di Zurigo (ETH), poiché l’istituto collabora a una quindicina di progetti, per un bilancio totale di 7,8 milioni di dollari, secondo la banca dati statunitense. “Negli ultimi dieci anni, sono stati versati in media circa 2,5 milioni di franchi all’anno ai ricercatori dell’ETH dagli Stati Uniti”, precisa Markus Gross, portavoce dell’ETH. “Questi contributi sono relativamente bassi rispetto ai fondi provenienti dalla Svizzera e dall’Unione Europea”.
All’Università di Ginevra, è stato messo in atto un sistema di monitoraggio per identificare l’impatto potenziale delle misure statunitensi. Nel corso degli ultimi dieci anni, l’università ha ricevuto quasi 7,4 milioni di dollari in sovvenzioni dirette e indirette. Attualmente beneficia di 1,5 milioni di dollari di finanziamenti provenienti dai National Institutes of Health. “La soppressione di queste sovvenzioni metterebbe in pericolo la possibilità di finanziare risorse come borse di dottorato o di master”, spiega Audrey Leuba, rettrice dell’ateneo.
Le prime conseguenze
Ma oltre all’aspetto puramente contabile, è il futuro degli scambi scientifici tra la Svizzera e gli Stati Uniti che potrebbe essere compromesso. “Il danno principale dell’attuale evoluzione politica negli Stati Uniti non risiede principalmente nella dimensione finanziaria, ma nella possibile limitazione della collaborazione scientifica al più alto livello”, dichiara Markus Gross.
Le prime conseguenze concrete iniziano già a farsi sentire: “Alcuni dei nostri collaboratori e collaboratrici incontrano restrizioni o difficoltà di accesso alle risorse scientifiche e alle banche dati statunitensi”, precisa Audrey Leuba. “Gli scambi all’interno di team internazionali devono talvolta aggirare i canali istituzionali a favore di messaggistica privata. Persistono incertezze riguardo a eventuali restrizioni della mobilità accademica, mentre la partecipazione di colleghi statunitensi a convegni internazionali viene messa in discussione”.
Forte della sua collaborazione storica con gli Stati Uniti, anche l’Università di Zurigo è preoccupata per il futuro: “Vista la situazione attuale, un investimento forte e duraturo nella ricerca e nell’innovazione da parte della Confederazione - sia a livello nazionale che a favore della cooperazione di ricerca con l’Europa - è decisivo”, sottolinea l’ufficio stampa dell’università.
L’intervista a Estelle Revaz (Forum, RTS, 22.04.2025)

Tempi duri per Harvard
Telegiornale 15.04.2025, 20:00