Impeachment, "se non ora, mai"

"Donald Trump deve essere messo in stato di accusa" perché "ha sollecitato l'interferenza di un Governo straniero, quello dell'Ucraina, per trarre vantaggio nella sua rielezione", mettendo così "i suoi interessi politici e personali al di sopra di quelli degli Stati Uniti": il rapporto frutto di due mesi di indagine che rinfaccia al presidente ostruzione alla giustizia e abuso di potere è arrivato mercoledì davanti alla Commissione della giustizia della Camera, controllata dai democratici, che hanno chiamato a testimoniare tre autorevoli costituzionalisti.

Noah Feldman (Harvard Law School), Pamela Karlan (Stanford Law School) e Michael Gerhardt (University of North Carolina School of Law) hanno spiegato concordi che le azioni del presidente rientrano chiaramente, sul piano storico e giuridico, tra quelle degne di impeachment. "Se non si procede in un caso come questo, non si deve allora procedere mai", ha affermato il terzo, secondo il quale il magnate "ha attaccato le salvaguardie contro la creazione di una monarchia nel paese".

L'unico a dissentire, non sui fatti quanto per l'incompletezza delle prove raccolte in un processo a suo avviso affrettato, è stato il testimone repubblicano, Jonathan Turley della George Washington University. La battaglia è solo alle prime scintille, non sono mancate le obiezioni e le interruzioni dell'opposizione: "Questo è un golpe", ha affermato il deputato Doug Collins.

I democratici puntano a un voto alla Camera entro Natale, a inizio 2020 la parola spetterebbe al Senato, in mani repubblicane, dove al momento non non ci sono i due terzi dei voti per arrivare a una condanna.