Appena quattro elettori su dieci si sono recati alle urne venerdì per il rinnovo del Parlamento iraniano, malgrado gli appelli delle autorità ("votare è un dovere religioso oltre che civico") e un'apertura dei seggi prolungata ben oltre gli orari inizialmente fissati. A Teheran è stato appena un elettore su quattro a votare.
Si tratta della partecipazione più bassa mai registrata dalla rivoluzione islamica e può nel contempo essere vista come una bacchettata al regime, scosso negli ultimi mesi da una serie di eventi tragici, su tutti la repressione delle proteste per il caro benzina in novembre e l’abbattimento da parte della contraerea iraniana in gennaio del Boeing ucraino con a bordo 145 iraniani. Non c'è da stupirsi, dunque, se anche di fronte all'emergenza del coronavirus che in questi giorni investe il paese – fuori dalla Cina l’Iran è la nazione che conta attualmente più morti, 8 –, gli iraniani si mostrano restii ad accettare le stime delle autorità e ad essere rassicurati dalle loro capacità di reazione.
La scarsa affluenza ha d'altra parte fatto il gioco dei conservatori: i fondamentalisti si sono aggiudicati almeno 221 dei 290 seggi (potrebbero incrementare il bottino coi ballottaggi per 14 seggi in programma il 17 aprile), gli indipendenti 34 e i riformisti solo 16.