In Italia la riforma sull’autonomia regionale, fortemente voluta dalla Lega, subisce una battuta di arresto. La Corte Costituzionale ha infatti decretato che in vari punti è illegittima ed ha invitato governo e parlamento a porvi rimedio. Non è una bocciatura totale, ma poco ci manca. I giudici hanno bollato come illegittimi diversi aspetti della legge che consente alle regioni di avere competenze in 23 nuove materie, dalla scuola al commercio estero, dall’energia ai trasporti.
Secondo il costituzionalista Michele Ainis, intervistato dal TG della RSI, “ciascuna delle 15 regioni di diritto comune può reclamare tutte e 23 le materie in gioco. La Corte però dice “no”, non si può fare in questi termini. Diciamo che non è un colpo all’autonomia, ma come l’autonomia viene declinata in un modo che diventa fortemente disgregante. Insomma, nessuna Regione può diventare uno Stato a parte”.
Diverse regioni - in particolare Veneto e Lombardia - si erano già mosse chiedendo una maggiore autonomia e ora per queste arriva la doccia fredda mentre esultano le opposizioni, in particolare le quattro Regioni che avevano presentato ricorso: Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, tutte governate dal centrosinistra. I giudici chiedono modifiche legislative dapprima sulle deleghe di competenze da affidare alle regioni – su 23 materie – che non può essere totale. E soprattutto il processo deve essere governato dal Parlamento, non solo dal Governo come fatto fino ad ora. Il professor Ainis ritiene che “adesso si aprirà una discussione soprattutto all’interno della maggioranza di Governo, perché Forza Italia aveva già manifestato una serie di perplessità e a Fratelli d’Italia non è mai piaciuta granché. Quindi, conclude, non sarà semplice ritrovare una quadra all’interno della maggioranza di governo e il rischio per la maggioranza di governo è che comunque il referendum si tenga”.
Referendum chiesto da 1 milione e 300 mila persone sul quale toccherà alla corte di Cassazione, nelle prossime settimane, decidere se dovrà tenersi comunque oppure no. Se la legge ora cambierà, l’esecutivo potrebbe riuscire ad evitare un voto popolare che in Italia è spesso riuscito a compattare l’opposizione a danno del governo in carica.