Il colosso petrolifero russo Rosneft ha fatto registrare nei primi sei mesi di quest’anno dei ricavi record, oltre un quarto in più rispetto a quelli del 2023, che erano già cresciuti di quasi il 50% nell’anno precedente, quello dell’inizio del conflitto su larga scala in Ucraina.
Nonostante le sanzioni occidentali, il settore del petrolio della Federazione russa, al contrario di quello del gas, sta trainando l’economia del paese, che appare complessivamente in buona salute. Il comparto energetico, al quale va aggiunto anche il nucleare, con il gigante Rosatom impegnato a livello mondiale come produttore e fornitore di combustibile, continua ad essere quello trainante delle esportazioni di Mosca, che comunque ha dovuto ricalibrare il proprio raggio d’azione con l’inizio del conflitto e i provvedimenti restrittivi introdotti da Unione Europea, Stati Uniti e G7.
Sale il petrolio
La notizia dei ricavi record di Rosneft non è una certo una sorpresa, ed è in linea con ciò che è accaduto anche lo scorso anno: più 27% nel primo semestre del 2024 e oltre 8 miliardi di dollari finiti nelle casse del colosso statale. Nel 2023 erano stati oltre 14 (+47%). Il presidente di Rosneft è Igor Sechin, amico di lunga data di Vladimir Putin, un risultato quindi che fa sorridere anche il Cremlino, che da sempre conta sul pilastro dell’esportazione di idrocarburi, petrolio e gas, per sostenere l’economia russa, il proprio sistema, e di questi tempi anche per finanziare la guerra in Ucraina.
Il petrolio russo è stato sanzionato solo in parte dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, con Mosca che però ha preso da subito le contromisure: dove ci sono sanzioni c’è anche il metodo per aggirarle e quindi ecco le triangolazioni con paesi amici e le flotte fantasma, con il petrolio russo trasportato sotto altre spoglie; inoltre è stato facile trovare nuovi mercati, a partire da quello cinese e quello indiano. Il progetto occidentale di isolare Mosca è in sostanza fallito di fronte a quella che è la legge della domanda e dell’offerta sulla piazza mondiale. Così si spiega il successo di Rosneft, che rappresenta quasi la metà delle esportazioni russe, ma lo stesso vale per altre società, come Lukoil e Gazpromneft. Inoltre il prezzo del petrolio, stabile ormai sugli 80 dollari al barile a livello internazionale, ha contribuito a mantenere alti gli introiti.
Scende il gas
C’è da dire che se i guadagni sul petrolio sono cresciuti, sul fronte del gas la Russia è in segno negativo: l’utile di Gazprom, gigante che sta al gas come Rosneft sta al petrolio, è crollato negli ultimi due anni perché le esportazioni verso l’Europa sono state praticamente azzerate e le vie alternative verso oriente non sono facili da percorrere in maniera rapida. Nel 2023 il gigante guidato da Alexei Miller, un altro dei fedelissimi del Cremlino, ha perduto più di 6 miliardi di dollari, dopo un paio di decenni in cui aveva contribuito in gran quantità a riempire le casse statali.
Sui mercati europei Gazprom rischia di sparire già dal prossimo anno, dato che l’Ucraina ha già annunciato di non voler rinnovare il contratto di transito, grazie al quale il gas russo viene trasportato in Europa. Dopo la chiusura del tratto centrale attraverso la Polonia e la via settentrionale fuori uso dopo il sabotaggio di Nordstream ad opera di un commando ucraino, le vie di terra si asciugheranno a partire dal 2025. Per Mosca rimane comunque aperta la strada via mare, con l’esportazione di gas naturale liquefatto (gnl) e la Novatek dell’oligarca Leonid Michelson che sta acquisendo sempre più fette di mercato.
Bilancia positiva
Se dunque da una parte cresce il ruolo del petrolio e quello del gas ha subito un ridimensionamento, Mosca può contare ancora molto sul nucleare, settore in espansione nel quale i legami con vari paesi dell’Unione Europea non sono stati toccati e quelli con vari paesi asiatici e africani sono in espansione. Rosatom è per così dire il braccio atomico del Cremlino che ha fatto incassare nel 2023 14 miliardi di dollari e persino gli Stati Uniti, fino a quest’anno, hanno continuato a finanziare la società russa, acquistando uranio per circa il 12% del loro fabbisogno. La Russia controlla circa il 17% del mercato globale di uranio arricchito e insieme al Kazakistan circa il 50% della produzione mondiale di uranio naturale.
Se si considerano i paesi dell’Unione europea, dove viene importato dall’estero il 99,5% dell’uranio naturale, la Russia fa la parte del leone con una quota attuale di circa il 20%. L’uranio russo non è sotto sanzioni da parte di nessuno. Insomma, alla fine dei conti la bilancia complessiva manda dal settore energetico al Cremlino ancora segnali positivi, tanto che il Fondo monetario internazionale prevede una crescita per il 2024 del 3,2%, trainata in primo luogo da petrolio e produzione industriale militare.
SEIDISERA del 30.08.2024 Il petrolio russo e i ricavi record
SEIDISERA 30.08.2024, 18:31