Il prezzo dell’uranio sui mercati internazionali ha raggiunto questa settimana il suo livello massimo da oltre quindici anni. I futures denominati Yellowcake hanno toccato quota 80,25 dollari la libbra segnando un nuovo record. Dopo un lungo periodo di oscillazioni il prezzo è cresciuto rapidamente quest’anno di oltre il 30%, soprattutto a causa della crescente domanda di energia nucleare. Le principali economie mondiali, dagli Stati Uniti alla Cina, passando dal Giappone a vari paesi europei, utilizzano l’energia atomica civile come fonte imprescindibile nel loro mix energetico e in molti puntano sull’espansione del nucleare, in concomitanza con il progressivo minor utilizzo di gas e petrolio e l’aumento della quota delle rinnovabili. Al mondo ci sono circa 60 centrali nucleari in costrizione, pianificate oltre 300.
Paesi produttori in vantaggio
La crescita della domanda di energia nucleare ha fatto dunque balzare i prezzi in avanti, a grande vantaggio dei paesi produttori, che vedono in primo luogo il Kazakistan, il maggior estrattore al mondo. Già nel 2022 la più grande delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale è diventata il leader assoluto nell’estrazione dell’uranio, con una quota del 42% della produzione globale. In Kazakistan, operano le maggiori compagnie al mondo, come la canadese Cameco, la francese Orano e la anche la russa Rosatom. Anche se la parte del leone la fanno i padroni di casa e secondo quanto indicato dal Samruk Kazyna Sovereign Wealth Fund, il fondo sovrano di Astana, la quota della Kazatomprom National Atomic Company, la compagnia statale kazaka, ha costituito il 22%. Tra i più grandi produttori al mondo di uranio, insieme all’Uzbekistan, altra repubblica ex sovietica, e a paesi africani come il Niger e la Namibia, c’è anche la Russia, al sesto posto.
Entrate in crescita
Il settore del nucleare russo, dall’estrazione e all’esportazione dell’uranio a quello della costruzione di centrali atomiche in giro per il mondo, non è stato soggetto alle sanzioni che sono state comminate a più riprese dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Unione Europea, Stati Uniti e paesi del G7. Come nel settore del gas, anch’esso indenne, e a differenza di quello del petrolio, colpito invece a più livelli, il nucleare continua ad essere una fonte di entrate per lo stato russo, che prosegue nell’estrazione (Armz è la holding statale che opera nel campo) e nell’esportazione a livello mondiale di uranio, così come nella collaborazione tra Rosatom, il colosso statale dell’energia atomica, e i vari interlocutori internazionali che hanno progetti in campo con la Russia.
Produzione in aumento
Nel 2022 la produzione di uranio in Russia è aumentata del 9% rispetto al 2021, anche se nei cinque anni precedenti il tasso di crescita è stato del 2,51% ed entro il 2026 diminuirà del 5,7% (dati del Global Uranium Mining to 2026). Quel che avvantaggia Mosca, come è stato nell’ultimo anno anche nel settore del petrolio, è che di fronte a minori volumi prodotti ed esportati, il livello in crescita dei prezzi ha contribuito a tenere a galla l’economia e portare liquidità alle casse dello stato. Nel 2022 secondo l’Energy Information Administration statunitense, la Russia ha fornito all’industria nucleare a stelle e strisce circa il 12% del suo uranio, mentre per l’Unione Europea la quota importata da Mosca è stata del 17%.
L’export continua
Dei 30 paesi al mondo che producono energia nucleare, per un totale di circa 440 siti, molti stanno ancora importando combustibile da Rosatom, che sta lavorando inoltre alla realizzazione di 33 nuovi reattori in 10 nazioni. Il colosso russo ha esportato materiali legati all’energia nucleare per un valore di circa 2,2 miliardi di dollari, secondo quanto calcolato dal Royal United Service Institute, istituto britannico per il quale la cifra è anche probabilmente molto più elevata. In Europa Rosatom è impegnata in Ungheria, nell’ampliamento della centrale di Paksi e non è un caso che Budapest sia sempre stata contraria all’imposizione di sanzioni specifiche contro Mosca. Stesso dicasi per la Francia, che è il principale importatore di prodotti dell’industria nucleare dalla Russia e nel 2022 ha aumentato del 250% rispetto all’anno precedente la cifra sborsata a Mosca, arrivata a 359 milioni di euro.
Il Faro: Guerra di logoramento
Telegiornale 18.11.2023, 20:00