Con tutta probabilità è la loro ultima sfida, anche per questo è forse così aspra. Donald Tusk, 66 anni, primo ministro dal 2007 al 2014 e poi leader del Consiglio europeo a Bruxelles, e Jarosław Kaczyński, 74 anni, che invece il premier lo ha fatto per soli due anni e all’estero è andato solo volta nella vita, si scontrano per quella che sarà quasi certamente l’ultima volta in queste elezioni parlamentari la cui importanza supera i confini polacchi, in una Unione europea ormai in clima preelettorale.
Trent’anni fa Tusk e Kaczyński erano uniti dalla comune militanza anticomunista in Solidarność; oggi incarnano due Polonie che si parlano pochissimo, si capiscono ancora meno e non si fidano per niente l’una dell’altra. “Piattaforma civica” (PO) - che fa parte della famiglia popolare europea - è la parte relativamente più urbana della società, che guarda a Bruxelles e Berlino senza rancori o sospetti e che pur senza rinnegare la propria identità ha con essa un rapporto più laico. “Diritto e giustizia” (PiS) esprime quel social-conservatorismo che è sospettoso di qualunque cosa possa indebolire la nazione nel magma mondialista.
Il magma si chiama, ovviamente, in primo luogo Unione europea. In otto anni la Polonia del PiS ha accumulato un numero record di cause davanti alla Corte di giustizia dell’UE. La maggior parte riguarda le riforme che Varsavia ha introdotto “per depoliticizzare una magistratura ereditata dal comunismo”, ma che secondo il Consiglio d’Europa ha reso i giudici controllabili e ricattabili dal potere quasi come nel comunismo. Al culmine della controversia con Bruxelles, il governo ha chiesto alla Corte costituzionale di esprimersi sul rapporto tra diritto europeo e nazionale. E la Corte - dove la maggior parte dei giudici è stata scelta al governo - ha risposto che il diritto polacco viene prima di quello europeo. Le cause con l’UE sono costate a Varsavia il mancato accesso a milioni di euro di fondi, ma anche così la Polonia (membro UE dal 2004) rimane in cifre assolute il maggior beneficiario dei fondi europei, e anche dei contributi svizzeri.
Jaroslaw Kaczyński è formalmente solo un vicepremier. Al suo fianco, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki.
“Kaczyński è strano, ma con lui stiamo meglio. Con Tusk i soldi andavano solo a Varsavia” dicono gli elettori del PiS, che abitano soprattutto nelle province. Nemmeno loro credono davvero che Tusk sia un servo della Germania o sia corresponsabile dello schianto aereo del 2010 in cui morì il fratello di Jaroslaw, Lech, che allora era presidente della Repubblica. Ma non è solo il leader del PiS a demonizzare l’avversario. “Sono tornato per combattere il male”, ha detto di lui Tusk nel 2021, arrivando a chiedersi se non sia stato uno sbaglio lasciare la Polonia per andare Bruxelles. I due peraltro non fanno un dibattito insieme dal 2007, ed è stato soprattutto Kaczyński ad evitare l’avversario.
Il PiS è dato in testa da tutti i sondaggi, ma potrebbe perdere un buon 5% rispetto a quattro anni fa, attestandosi sul 36% dei suffragi. Questo lo costringerebbe ad accordarsi con partner poco presentabili come il nuovo movimento di estrema destra “Konfederacja”, ostile tra l’altro a sostenere l’Ucraina. Per scongiurare questo scenario, il governo ha messo quanti più pezzi possibile dello Stato al servizio del partito. Contestualmente alle elezioni sono stati indetti quattro referendum su altrettanti argomenti che sono temi forti del partito, come l’aumento dell’età pensionabile o il meccanismo di ripartizione dei migranti.
La TV pubblica, completamente controllata dal governo, mostra ogni sera lunghi servizi in cui si mescolano immagini di Gaza e Lampedusa, poi appare il premier Morawiecki rassicurando che non cederà mai ai ricatti di Bruxelles sui migranti, quindi immagini d’archivio di Tusk intento a stringere la mano e ad inchinarsi davanti ad Angela Merkel. Non tutto lo Stato accetta di giocare a questo gioco. Sembra che le recentissime dimissioni, improvvise e senza spiegazioni pubbliche, del capo di Stato maggiore e del capo delle operazioni dell’esercito siano legate ai tentativi del ministro della difesa di arruolare le forze armate alla causa elettorale.
Il primo ottobre "Piattaforma civica" (opposizione) ha portato in piazza a Varsavia oltre un milione di persone
La speranza di piattaforma civica è di avvicinarsi ad un pareggio, e sarebbe già un miracolo. Poi magari si potrebbe tentare l’alleanza con “Trzecia Droga” (terza via), la coalizione liberale che però rischia di non arrivare nemmeno alla soglia dell’8% necessaria per entrare in Parlamento. Se così fosse, i suoi voti verrebbero redistribuiti sulle altre liste, in proporzione ai risultati da queste ottenuti. Sarebbe un bel regalo soprattutto per il PiS in quanto partito di maggioranza relativa. Le regole elettorali polacche fanno si che in generale l’astensione o la frammentazione aiutino chi già sta al potere.
Ad orientare il voto sarà probabilmente soprattutto l’economia e questo non è bene per il PiS, perché l’inflazione è tra le più alte dell’UE e la crescita ha rallentato. Gli avversari poi hanno imparato a non concentrarsi solo sulle grandi città.
Come in Slovacchia, anche qui l’invasione russa dell’ Ucraina è un tema importante, ma la Polonia è decisamente più refrattaria alle sirene di Mosca rispetto al suo vicino meridionale. Se la dezinformacija del Cremlino è al lavoro, qui deve impiegare tattiche più sofisticate. La Polonia ospita due milioni di profughi, ma già prima del conflitto era meta privilegiata della forza lavoro, ormai indispensabile a far funzionare il paese visto che i polacchi sono andati ad ovest. I rapporti con il liberale Zelensky non sono sempre facili – vedi alla voce litigi sul grano ucraino, che fa abbassare i prezzi del prodotto locale e fa arrabbiare agricoltori, una riserva elettorale del PiS – ma alla fine Kiev è troppo parte della storia polacca per cambiare veramente strategia. “La Polonia non li abbandonerà” ci dice un diplomatico europeo. “L’Ucraina è nel loro passato e nel loro presente, sarà anche nel loro futuro”.
Il Sejm, la camera bassa del Parlamento polacco
Qualunque sia l’esito delle urne, è un futuro politico instabile quello che sembra attendere i polacchi. Un eventuale governo non guidato dal PiS dovrebbe tra l’altro coabitare almeno all’inizio con un presidente della Repubblica che viene dal partito di Kacińsky ed ha diritto di veto sulle leggi. Le presidenziali si terranno l’anno prossimo e potrebbero essere il momento in cui volti nuovi prenderanno le redini della politica nazionale. Gente come il sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski, 51 anni, che guida una città ormai poco distinguibile da una dell’ovest ed è favorevole ai diritti LGBT. Oppure il ministro della giustizia e procuratore generale Zbigniew Ziobro, 53anni, un cattolico integralista che è l’anima di tutte le riforme del potere giudiziario. Le due Polonie cambierebbero volto dei leader che le incarnano, ma continuerebbero probabilmente a parlarsi poco, a capirsi meno e a non fidarsi per niente.