La 29esima edizione della COP (United Nations Framework Convention on Climate Change - la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) si apre oggi, lunedì 11 novembre, e proseguirà fino al 22 novembre a Baku, capitale dell’Azerbaigian. La scelta del paese ospitante è avvenuta lo scorso anno, alla COP di Dubai, negli Emirati Arabi: la decisione sull’organizzazione segue sempre lo stesso processo, secondo uno schema preciso per cui l’ospite cambia ogni anno, ruotando tra cinque gruppi: Africa, Asia-Pacifico, America Latina-Caraibi, Europa occidentale-Nord America-Australia ed Europa orientale.
Il turno era proprio quello dell’Europa dell’est, con altri due candidati, Bulgaria e Armenia, però subito bloccati: il primo per il veto della Russia e il secondo per mancanza di sostegno internazionale. L’Azerbaigian è stata la sola nazione a Dubai nel 2023 su cui vi è stato consenso. Una scelta che ha suscitato però critiche su varia scala, partendo dal fatto che la sede della Conferenza sul clima sia ancora una volta uno stato autoritario e produttore di gas e petrolio, dopo appunto gli Emirati Arabi lo scorso anno e l’Egitto nel 2022.
SEIDISERA del 10.11.2024 - La COP29 vista dalla Svizzera, il servizio di Anna Riva
RSI Info 10.11.2024, 16:11
Regime autoritario consolidato
La piccola repubblica ex sovietica del Caucaso è tra i primi trenta produttori del mondo di gas e petrolio e secondo l’Agenzia internazionale per l’energia i combustibili fossili rappresentano circa il 90% delle entrate delle esportazioni del paese e circa il 60% di quelle pubbliche. A Baku il presidente Ilham Aliyev regge le sorti dell’Azerbaigian in maniera autocratica dal 2003, rieletto per la quinta volta nel febbraio di quest’anno. Prima di lui era stato suo padre Heydar a ricoprire la stessa carica dal 1993, eletto sua volta poco dopo il crollo dell’URSS e l’indipendenza raggiunta nel 1991.
Il potere della famiglia Aliyev è sempre stato basato sul controllo statale delle risorse energetiche e i buoni rapporti con i paesi occidentali, sin dal 1995 con il cosiddetto “contratto del secolo” firmato da Heydar con compagnie europee, statunitensi, ma anche russe, per lo sfruttamento dei giacimenti del Mar Caspio. Nel corso dei decenni l’Azerbaigian ha mantenuto una sorta di equilibrio geopolitico e geoeconomico che ha permesso da un lato la crescita del ruolo del paese sulla scacchiera mondiale, ma dall’altro ha evidenziato i deficit democratici del sistema di quella che ufficialmente è una repubblica, ma che da Freedom House, organizzazione che misura lo stato delle democrazie del mondo, è classificata come non libera e descritta come un regime autoritario consolidato.
Azerbaigian, la democrazia soffocata da gas e petrolio
RSI Info 01.09.2024, 06:29
Accuse di greenwashing
Da una parte ci sono dunque i dubbi specifici, quelli cioè inerenti al fatto che la COP si stata organizzata, un’altra volta, da un paese che nei fatti non sembra proprio lanciato nella transizione verde. Alla fine del 2023 l’Azerbaigian ha in realtà presentato alle Nazioni Unite un nuovo obiettivo di ridurre entro il 2050 le emissioni di CO2 del 40% rispetto al 1990. Secondo il Climate Action Tracker, progetto scientifico indipendente che monitora le azioni dei paesi per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo della riduzione di 1,5 gradi fissato dagli Accordi di Parigi, sarebbe comunque necessario per Baku un declino molto più rapido di quello prefissato, ossia una riduzione delle emissioni attuali da 70 milioni di tonnellate a 35 milioni di tonnellate nel 2030 e a 10 milioni di tonnellate nel 2050.
È quasi impossibile che gli obbiettivi possano essere raggiunti con Aliyev, anche perché dal 2010, le emissioni sono aumentate del 38% e il presidente non si è mai mostrato molto incline ad abbandonare la strada degli idrocarburi, definiti “un dono di Dio”, sottolineando il diritto di utilizzarli per lo sviluppo del paese.
Trivelle e diritti violati
Laser 18.10.2024, 09:00
Alla vigilia della COP29, presieduta da Mukhtar Babayev, ministro dell’Ecologia e delle Risorse naturali dal 2018, sono state molte le critiche nei confronti di quello che è stato definito un vero e proprio greenwashing, ossia il tentativo dell’Azerbaigian di darsi un’immagine verde e sostenibile senza però implementare sistematicamente le attività corrispondenti, presentandosi come attore internazionale credibile a livello politico e mediatico senza darsi troppo da fare sul serio.
Conflitto insoluto
Dall’altro ci sono le critiche sul sistema Aliyev e sulla democraticità dell’Azerbaigian, anch’esse ritornate d’attualità con l’attenzione internazionale puntata sul paese. Da una parte c’è quindi la questione interna, con la repressione nei confronti del dissenso e dell’opposizione: nella classifica di Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa nel mondo, Baku occupa la 164esima posizione su 180 paesi, dietro anche alla Russia.
Dall’altra c’è inoltre il conflitto ancora insoluto con l’Armenia, con l’ultima guerra lampo del 2020 che ha restituito all’Azerbaigian il controllo sulla regione del Nagorno Karabakh. Se il processo di pacificazione tra Baku ed Erevan è di per sé complicato, l’Armenia continua ad accusare l’Azerbaigian di nuove mire espansionistiche e la comunità internazionale, tra Russia e Occidente, di sostanziale immobilità.
SEIDISERA del 10.11.2024 - Sistema energetico mondiale, il servizio di Francesco Suman
RSI Info 10.11.2024, 16:07