Nomi inventati, documenti falsificati, pressioni sulle madri single o sulle coppie in difficoltà finanziarie. O addirittura bambini sottratti di nascosto dai loro genitori. Un’approfondita inchiesta di Associated Press fa luce sulla sistematicità delle adozioni internazionali irregolari dalla Corea del Sud, il Paese che ha fatto un po’ da modello iniziale replicato anche altrove per l’invio di minori all’estero. Il problema si è protratto per alcuni decenni, spesso a conoscenza dei governi occidentali. E talvolta persino con loro pressioni su Seul. Quattro o cinque decenni dopo, tanti degli allora bambini diventati adulti stanno scoperchiando le truffe, mentre i loro genitori biologici se la prendono con le autorità sudcoreane. Tra i Paesi destinatari delle adozioni c’è anche la Svizzera, dove sono già emerse carenze nel processo di adozione di bambini indiani.
Zurigo e Turgovia, carenze nel processo di adozione
Telegiornale 27.09.2024, 12:30
A caccia di bambini
Ma andiamo con ordine. Il governo della Corea del Sud, diversi Paesi stranieri e le agenzie di adozione hanno collaborato per fornire circa 200’000 bambini a coppie occidentali. Tra gli anni Settanta e Ottanta, il ritmo era di centinaia di adozioni al mese. AP ha intervistato oltre 80 adottati negli Stati Uniti, in Australia e in sei Paesi europei, ma ha anche avuto accesso a centinaia di richieste di informazioni di (ex) bambini o genitori e migliaia di documenti provenienti da tribunali, archivi, fascicoli governativi e documenti di adozione. Emerge l’inquietante quadro di una macchina per le adozioni che passava sopra diritti e sentimenti di bambini e genitori. Tutto ha origine dopo la guerra di Corea, quando il Paese asiatico è in una condizione di estrema povertà. Tantissimi bambini nati da coppie miste e disconosciuti dai padri statunitensi, vengono separati dalle madri sudcoreane per essere mandati oltre il Pacifico. Nel tentativo di uscire dalla povertà del dopoguerra, Seul ha continuato a stimolare le adozioni internazionali. Un modo non solo per portare soldi in patria, ma anche per risparmiare evitando di dover costruire un proprio programma di assistenza all’infanzia.
Agenzie senza scrupoli vanno quindi “a caccia” di bambini da spedire nei ricchi Paesi occidentali, dove la domanda di adozioni è in continua crescita. I bimbi indesiderati, abbandonati o gli orfani non bastano. Si fanno allora pressioni sulle madri single, oppure sulle coppie più povere. Spesso venivano esercitate forti pressioni sui genitori per lasciare andare i figli. Talvolta venivano persino pagati gli ospedali. Dai documenti esaminati da AP emergono diverse prove di bambini rapiti o scomparsi che finiscono all’estero, di nomi inventati, di bambini scambiati tra loro e di genitori a cui è stato detto che i loro neonati erano gravemente malati o morti, solo per scoprire decenni dopo che erano stati mandati a nuovi genitori all’estero. Non c’è un numero preciso di casi illegali, ma il problema va anche oltre la violazione delle norme, visto che spesso l’unico documento presentato era una dichiarazione firmata da un tutore. Molto spesso non era chiaro o precisato come il tutore fosse entrato in possesso dei bambini.
Il bambino scomparso nel 1975 e ricomparso in Norvegia
Tra quelli citati, l’episodio più clamoroso è quello di un bambino scomparso nel 1975. Uscito di casa per inseguire una nuvola di insetticida spruzzata da un camion per la fumigazione insieme ad alcuni amici, non è più tornato. I genitori ne denunciano la scomparsa e per anni hanno portato i manifesti con la sua foto e il suo nome alla più grande agenzia di adozioni operante in Corea del Sud, fondata da un cittadino statunitense. “Ogni volta veniva detto loro che non c’erano informazioni. Quasi 50 anni dopo, dopo aver esaurito tutte le altre opzioni, la madre ha sottoposto il suo DNA a un’unità di polizia che aiuta gli adottati coreani a trovare le loro famiglie. Lì scoprì che suo figlio era stato adottato in Norvegia cinque mesi dopo la sua scomparsa, attraverso la stessa agenzia che aveva visitato così tante volte”, scrive AP.
Le responsabilità occidentali e il caso svizzero
I governi occidentali avrebbero chiuso un occhio sulle frodi dilaganti e a volte hanno fatto pressioni sul governo sudcoreano affinché i bambini continuassero ad arrivare. “I diplomatici occidentali hanno trattato i documenti come una catena di montaggio, nonostante le prove che le agenzie di adozione erano in competizione aggressiva per i bambini da inviare all’estero”, si legge su AP. “I governi si sono concentrati sul soddisfare l’intensa domanda delle famiglie occidentali alla ricerca disperata di bambini”.
Il picco delle adozioni arriva negli anni Settanta, gli Stati Uniti sono di gran lunga il Paese ad aver ricevuto la maggior parte dei bambini, ma la Corea del Sud è anche la più importante origine di adozioni in Svizzera. Tra il 1970 e il 1975 arrivano oltre 600 bambini. Da lì il numero crolla: 38 nel 1977, 4 nel 1978 e uno nel 1980. Nel decennio successivo, l’ultimo prima che l’industria venisse quasi del tutto chiusa, arrivano in tutto solo 5 bambini. Già alla fine degli anni Settanta, il governo sudcoreano ha operato una prima stretta sugli invii, escludendo alcune destinazioni, tra cui Svizzera, Italia e Regno Unito. Il motivo è duplice. Da una parte, non c’erano più organizzazioni svizzere che lavoravano con agenzie riconosciute da Seul. Dall’altra, il governo svizzero non insiste per proseguire la pratica come invece fatto da altri, a partire dagli Stati Uniti e dai Paesi scandinavi. Nonostante i pesanti dubbi, o spesso certezze, sul modo in cui venivano condotte le adozioni, secondo un report dell’ex ministro della Salute sudcoreano Ko Jae-pil, gli ambasciatori occidentali hanno visitato più volte i funzionari coreani e “hanno continuato a insistere con l’invio di documenti diplomatici che in pratica minacciavano che l’interruzione delle adozioni avrebbe danneggiato le relazioni bilaterali”.
Dalla Svizzera si registrano alcuni casi di coppie con indirizzi fittizi di residenza, in Paesi dove il flusso delle adozioni prosegue. Il tutto mentre un report interno dell’Ambasciata svizzera a Seul riporta pratiche illegali nell’individuazione e nell’invio di “pseudo orfani”, spesso con informazioni mancanti o false su nomi, luogo e data di nascita.
Il racconto delle esperienze traumatiche e la scoperta di non essere soli ha portato a un’ondata di richieste di chiarimenti o di cause legali, scoperchiando le magagne dell’industria delle adozioni internazionali, anche al di là della Corea del Sud. Come sottolinea AP, a marzo la Francia ha riconosciuto che il proprio governo era da tempo a conoscenza “dell’esistenza di pratiche illecite di natura sistemica”. A maggio i Paesi Bassi hanno annunciato che non permetteranno più ai loro cittadini di adottare dall’estero. L’unica agenzia danese per le adozioni internazionali ha dichiarato di voler chiudere, la Svezia ha bloccato le adozioni dalla Corea del Sud. La Svizzera si è scusata per non aver impedito le adozioni illegali. Gli Stati Uniti, pionieri di questo sistema e da tempo il Paese che adotta il maggior numero di orfani stranieri, non hanno sin qui ammesso alcuna responsabilità.
Nell’ultimo decennio, circa 15’000 adottati hanno chiesto aiuto alla Corea del Sud per ricongiungersi coi genitori biologici. Solo un quinto di loro ce l’ha fatta.