"È importante per noi aver condiviso il premio Nobel con l’attivista bielorusso Ales Byalyatski e l’organizzazione russa Memorial: li conosciamo, lavorano da decenni per difendere i diritti ma non viene data loro la possibilità". Oleksandra (Sasha) Romantsova – in collegamento via Skype dalla capitale ucraina mentre corre da una riunione all’altra in auto - sgombra subito il campo dalle polemiche. Molti in Ucraina, persino il più stretto consigliere del presidente Zelensky, avevano criticato la scelta del comitato norvegese del Nobel di assegnare il prestigioso riconoscimento a tre organizzazioni in Ucraina, Russia e Bielorussia. "Strana idea di pace, si mettono insieme due Paesi che hanno attaccato un terzo", aveva scritto su twitter Mykhailo Podolyak.
"Le persone che hanno vinto il Nobel non rappresentano i regimi dei Paesi di appartenenza ma le loro società", aggiunge Romantsova, 37 anni, dal 2014 impegnata per il monitoraggio delle violazioni dei diritti umani con il Centro per le libertà civili. "Dal nostro punto di vista il Nobel è per tutte le organizzazioni che difendono i diritti in Ucraina: noi siamo una di quelle che combattono per i valori della democrazia".
Emiliano Bos a colloquio con Oleksandra (Sasha) Romantsova
Un impegno che inizia nel 2007, quando in Ucraina c'erano da difendere valori come la libertà di assemblea o chiedere la scarcerazione di detenuti politici. Poi con le proteste di EuroMaidan nel 2014 e il conflitto in Donbass l’inizio di un lavoro di documentazione delle violazioni dei diritti umani. Fino alla svolta del 24 febbraio 2022, con l'invasione russa e l'attacco indiscriminato contro i civili.
Romantsova, originaria di Mykolaiv - la città del sud sotto bombardamento russo da mesi non lontano da Kherson, rileva che in sette mesi e mezzo di conflitto sono state raccolte denunce di oltre 21'000 casi di presunti crimini di guerra, stando al database che il "Centro per le libertà civili" di cui è direttrice esecutiva ha creato insieme ad altre organizzazioni in Ucraina.
Il palazzo del governatore di Mykolaiv, città di cui è originaria Sasha Romantsova
Con la recente liberazione dei territori nell’est e nel sud, dice ancora alla RSI Sasha Romantsova, stanno emergendo crimini simili – e in qualche caso più gravi - degli orrori che hanno scioccato il mondo a Bucha e Irpin. "Gli aggressori sono rimasti più a lungo, così hanno avuto più tempo per perpetrarli". Della situazione nei territori occupati dai russi avevamo parlato a lungo a di persona lo scorso luglio. Sasha Romantsova era a Lugano in occasione della Conferenza per la ricostruzione dell'Ucraina. Mi aveva espresso tutta la sua preoccupazione soprattutto sulle persone scomaprse ("migliaia di casi") e sui minori: bambini anche in tenera età trasferiti con la forza in Russia. Le famiglie, mi disse allora, "aspettano risposte sul destino dei loro cari". Lei e la sua organizzazione stanno cercando queste risposte. Uno sforzo di documentazione e di ricerca della verità che durerà ancora a lungo. "Ora con la voce più forte grazie al riconoscimento del Premio Nobel per la pace - conclude Romantsova - occorre far sentire quanto ci sia bisogno di cambiare il sistema internazionale della giustizia e della sicurezza. A suo parere, "non ci sono reazioni sufficienti nei casi di aggressioni da parte di presidenti come Lukashenko e Putin. "Ecco perché c'è la guerra: perché in precedenza non sono stati ascoltati i difensori dei diritti umani".
SEIDISERA 18.00 del 08.10.22: l'intervista alla direttrice del Center for Civil Liberties di Emiliano Bos
RSI Info 09.10.2022, 01:36
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Ales Byalyatski: "la democrazia è solo nelle mani del popolo bielorusso"
Tra coloro che hanno ottenuto il Nobel per la Pace c’è il bielorusso Ales Byalyatski, fondatore del Viasna (Primavera) Human Rights Centre, un centro creato nel 1996 in risposta alla brutale repressione di Aleksandr Lukashenko. Poco prima della sua incarcerazione, nel marzo dello scorso anno, la RSI lo aveva intervistato al Festival dei diritti umani di Ginevra. Rispetto alle condizioni della libertà in Bielorussia, Ales Byalyatski aveva riferito che centinaia di persone erano state imprigionate con accuse penali sfociate in tanti processi celebrati contro cittadini colpevoli unicamente di aver esercitato i loro diritti politici. Tra loro esponenti politici, ma anche persone, che hanno solo partecipato a manifestazioni pacifiche. "Molti sono studenti – disse - ma ci sono anche giornalisti e difensori dei diritti umani. Viviamo oggi in un regime molto violento che non è solo post-sovietico, ma pure post-stalinista. Quel che è cambiato rispetto ad allora è che la maggioranza della popolazione detesta questo regime e vorrebbe cambiarlo. Lukashenko non ha più consenso e si mantiene al potere solo con i manganelli, la polizia politica e l'esercito". La società civile non è priva di strumenti per manifestare la propria opposizione al regime, "ci sono ancora le reti sociali che possono trasmettere un'informazione orizzontale perché nessuno legge più i giornali ufficiali o guarda la televisione di Stato che mente sistematicamente", sottolineava alla RSI Ales Byalyatski. "Le grandi manifestazioni di protesta dopo le elezioni sono state coordinate così, senza una vera leadership politica e sono il solo modo di resistere a un potere armato - spiegava poco prima di prima di essere arrestato.
SEIDISERA 18.00 del 08.10.22: Ales Byalyatski intervistato da Gabriele Fontana
RSI Info 08.10.2022, 23:12
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