Centinaia di ragazzi si dirigono verso il Ministero dell’Interno, si fermano e si organizzano in squadre nello spiazzo di fronte all’entrata. I loro volti sono coperti da magliette, maschere e bandane con la scritta “Né perdonato, né dimenticato”. Davanti a loro, una fila di uomini e donne di mezza età srotola cartelloni che mostrano foto di giovani accompagnate dalla frase “Li avete portati via vivi e vivi li rivogliamo”. Sono i genitori dei 43 studenti scomparsi la notte del 26 settembre 2014, uno dei capitoli più tragici della storia moderna del Messico. E questa è solo una delle tante manifestazioni che hanno organizzato nei giorni prossimi al triste anniversario.
Messico, tra desaparecidos e narcotraffico
SEIDISERA 26.09.2024, 19:02
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Un’esplosione rompe il silenzio, riempiendo l’aria di fumo. Alcuni manifestanti lanciano rudimentali esplosivi oltre il muro del Ministero dell’Interno, senza però causare danni. Dietro ai cancelli, uomini in divisa antisommossa osservano, ma non intervengono. È come se si stesse svolgendo un dialogo silenzioso: da una parte, giovani colmi di rabbia, dall’altra, i rappresentanti di un governo che ha promesso giustizia ma ha fallito, e ora lascia che la frustrazione si esprima, evitando lo scontro.
I manifestanti, studenti della scuola di Ayotzinapa, frequentano lo stesso istituto dei 43 ragazzi scomparsi. Questa scuola, rinomata per il suo impegno sociale, forma insegnanti per le zone rurali. Il 26 settembre di dieci anni fa, i ragazzi stavano partendo per Città del Messico, intenzionati a partecipare alla commemorazione della repressione del movimento studentesco del 2 ottobre 1968, quando oltre 300 persone furono uccise da polizia, esercito e un gruppo paramilitare. Nessuno di loro poteva immaginare che, di lì a poco, sarebbero diventati le vittime di un nuovo crimine di Stato.
Furono consegnati al crimine organizzato
L’episodio si consumò a Iguala, nello stato di Guerrero, zona nota per il controllo del narcotraffico. Iguala era un importante snodo per la distribuzione di droga verso gli Stati Uniti, trasportata su autobus. Seguendo una pratica comune nelle aree rurali del Messico, dove mancano risorse, gli studenti requisirono degli autobus per raggiungere Città del Messico, con l’intenzione di restituirli al termine del viaggio. Si sospetta che su quegli autobus fosse nascosta droga.
La polizia li fermò e cominciò a sparare senza preavviso. Fecero scendere gli studenti e li portrono via. Dalle numerose indagini, tutte senza conclusione, è emerso che i ragazzi furono consegnati al crimine organizzato, torturati e uccisi. È noto che l’esercito fu tenuto costantemente informato e che giocò un ruolo nel loro destino. Tuttavia, le indagini si sono arenate, incapaci di superare il muro di impunità che circonda l’esercito messicano.
In dieci anni sono stati ritrovati solo frammenti di ossa di tre studenti; gli altri restano ufficialmente desaparecidos. Gli arresti hanno colpito solo gli ultimi anelli della catena di responsabilità.
Promesse non mantenute
Andrés Manuel López Obrador, la cui presidenza terminerà tra cinque giorni, aveva promesso di rompere il silenzio ed arrivare alla verità. Tuttavia, durante il suo mandato ha aumentato il potere dell’esercito, militarizzando il Paese, e le indagini si sono nuovamente bloccate.
Oggi, si protesta contro queste false promesse, con gesti che testimoniano la rabbia e la determinazione di continuare una lotta impari. Si resiste per un senso di giustizia, di dignità e per evitare che tutto diventi un capitolo di storia passata. Si combatte per non permettere che quando è accaduto quella notte e nei 10 anni successivi non venga normalizzato, in un Paese che oggi conta 116’000 desaparecidos.