Fuori dai tribunali si moltiplicano le proteste, si organizzano sit-in e si gridano slogan al megafono. Il Messico resiste, la giustizia insorge oppure La giustizia non è una questione di popolarità, basta con le bugie si legge su ampi cartelloni appesi ai cancelli. Sono 1’400 i giudici e 55’000 gli impiegati di tribunali e magistratura che hanno dichiarato uno sciopero a tempo indeterminato. Cercano di bloccare una riforma costituzionale che da mesi il Presidente Lopez Obrador promuove e dovrebbe andare al voto tra pochi giorni. Se passasse, tutti i giudici, inclusi quelli della Corte Suprema, dovranno essere eletti attraverso voto popolare. Ai candidati sarebbe richiesta una laurea e alcuni anni di lavoro. Specializzazione o merito acquisito non sarebbero fattori per ottenere il posto. Tra l’altro questo implicherebbe campagne elettorali, difficile immaginare un giudice con decenni di esperienza competere con un ventenne per più click su TikTok, come è consueto fare ai politici.
Il timore principale è quello di indebolire l’indipendenza del sistema giudiziario. Affrontare elezioni vuol dire cercare appoggi politici, che minerebbero la separazione dei poteri. A questo si aggiunge la paura della potenziale influenza della criminalità organizzata, soprattutto in territori dove la presenza è più radicata.
Di riforme si parlava da tempo. Corruzione, tempi troppo lunghi, inefficienza sono problemi riconosciuti a un sistema tutt’altro che ideale. Questa riforma però fa poco per affrontarli. Il Presidente Lopez Obrador vuole chiudere il suo mandato, tra poco più di un mese, passando un pacchetto di 23 riforme costituzionali, tra qui la più controversa è proprio quella del sistema giudiziario. Le elezioni dello scorso giugno hanno consegnato al suo partito una vittoria senza precedenti, dandogli i numeri sufficienti in Parlamento. Le motivazioni per promuovere la riforma sono le stesse che ha ripetuto per attaccare i suoi critici. Sradicare corruzione e privilegio. Argomenti su cui ha insistito quotidianamente durante la sua mañanera, la conferenza stampa che ha tenuto ogni mattina da quando è diventato presidente, e che gli ha conferito un’enorme popolarità.
Il suo operato, però, non ha portato a una maggiore trasparenza. Ha tagliato fondi pubblici a istituzioni ampiamente viste come garanti della democrazia, come l’Istituto Nazionale per le Elezioni e l’Istituto Nazionale per la Trasparenza e Accesso a Informazioni. Proprio grazie a questo, è stato possibile in passato esporre casi di corruzione in molteplici amministrazioni. Lo sciopero di questi giorni contesta la proposta di legge vista come tentativo di indebolire, non riformare il sistema giudiziario.
All’opposizione nazionale si sono aggiungono critiche internazionali, in particolare Stati Uniti e Canada, co-firmatari del principale accordo di libero commercio con il Messico. L’ambasciatore canadese Graeme C. Clark ha espresso timore per le conseguenze negative che avrebbe per gli investitori, l’ambasciatore statunitense Ken Salazar ha definito la proposta come un rischio alla democrazia, che avrebbe un impatto sulle relazioni bilaterali. Un commento che è piaciuto poco al presidente Lopez Obrador, che ha denunciato le parole dell’ambasciatore come interferenza e mancanza di rispetto per la sovranità del Messico.
Le conseguenze politiche di questo scontro tra poteri dello Stato ricadranno sulla nuova presidente, Claudia Sheinbaum, che assumerà il mandato il primo ottobre prossimo. La presidente eletta ha espresso una posizione più moderata, chiedendo consultazioni più ampie e maggiore negoziazione, senza però arrivare a un risultato concreto. Nella sua carriera politica non si è mai opposta a Lopez Obrador e non ha fatto eccezione per questa riforma.
Radiogiornale delle 12.30 del 24.08.2024: il servizio di Laura Daverio
RSI Info 24.08.2024, 15:01
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Lo sciopero dei giudici in Messico
Telegiornale 24.08.2024, 20:00