L’intervista

Memoria di un femminicidio

Il tema in Messico è molto sentito - Cristina Rivera Garza racconta la storia di sua sorella nel libro “L’invincibile estate di Liliana”, premio Pulitzer 2024. L’abbiamo incontrata

  • Oggi, 05:44
  • 3 ore fa
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L'autrice del libro e premio Pulitzer Cristina Rivera Garza

  • Foto di Annette Hornischer, courtesy of Cristina Rivera Garza
Di: Laura Daverio

Liliana aveva 20 anni, studiava architettura e amava il cinema. Confidava i suoi pensieri a un diario e alle lettere che scriveva agli amici. Non parlava, né scriveva di quella relazione che aveva cercato di chiudere più volte, nessuno a lei vicino aveva capito la violenza che stava vivendo in segreto. Lilliana si trovò ad affrontare da sola il suo aguzzino la notte del 16 luglio del 1990, quando la uccise.

Trent’anni dopo la sorella Cristina Rivera Garza ripercorre la sua vita, scopre indizi del passato, fa rivivere Liliana attraverso le sue lettere e i ricordi di chi l’ha conosciuta, e cerca giustizia. “L’invincibile estate di Liliana”, pubblicato anche in lingua italiana, ha ricevuto numerosi premi, incluso il Pulitzer 2024 per la memoria e autobiografia. La nostra conversazione comincia proprio dal processo che l’ha portata a scrivere il libro trent’anni più tardi.

Un libro non comincia una sola volta. Questo è un libro che volevo scrivere da molto tempo, ma non ho potuto farlo prima. Un motivo è che ho dovuto affrontare il mio proprio processo di lutto, che ha tempistiche strane, personali, irripetibili. Un altro è che ho dovuto aspettare che la società producesse un tipo di linguaggio, concetto e narrativa che mi permettesse di raccontare il femminicidio di Liliana Rivera Garza, non dal punto di vista del patriarcato o dell’assassino, che è la narrativa egemonica e ufficiale, quella che lo chiama “crimine passionale”, bensì raccontarla dal punto di vista di Liliana stessa, dei suoi amici e della sua comunità.

Nel libro la storia personale si intreccia a molti altri temi, innanzitutto il contesto sociale in cui è avvenuto. Quale messaggio ha voluto dare?

Quando c’è una morte, specialmente se violenta, la narrazione tende a concentrarsi su questo, e certo bisogna parlarne, ma io volevo che il libro riuscisse ritrarre Liliana da viva, a trasmettere la sua luminosità, che riuscisse a invocare la sua presenza, così come la ricordano i suoi amici e i suoi familiari. E che questo permettesse al lettore di sentirla vicino e sentirne la sua mancanza. Questo significa che c’è stato un impatto sulla persona. E credo che possa portare a un cambiamento non solo culturale, ma anche politico. Ogni donna che ci è stata tolta con brutale violenza non è solo una perdita per le loro famiglie e i loro amici, ma per tutta la società.

In Messico ci sono in media 10 femminicidi al giorno. Nel libro lei cerca gli indizi che potessero far capire la violenza, a chi le stava intorno e a Lilliana stessa.

Io credo che a Liliana avrebbe fatto piacere pensare che nel raccontare la sua storia io possa aprire gli occhi a ragazze della sua età. Uno dei grandi problemi per identificare il pericolo della violenza di genere è che questa violenza si intreccia con il linguaggio dell’amore romantico. Credo sia stato il caso di Liliana. Penso che più ne parliamo, più riusciamo a riconoscere i vari livelli di violenza che ineluttabilmente cresce, dare queste armi alla nuova generazione perché possa identificare il pericolo e prepararsi per affrontarlo.

Quanto è cambiato negli ultimi 30 anni?

È cambiato molto e non è cambiato nulla, le due cose sembrerebbero contradditorie eppure sono possibili. Non solo la violenza di genere, ma anche i diritti delle donne sono un tema fondamentale nel mondo di oggi. In Messico ci sono stati altri cambiamenti, la legislazione che ha aggiunto il crimine “femminicidio” nel codice penale. Esiste un pubblico ministero che si occupa esclusivamente delle investigazioni e le punizioni per femminicidi. Dico che è una fortuna, ma è anche una disgrazia perché il numero è talmente alto che lo rende necessario. D’altra parte, è chiaro che le cose cambiano poco. La crescente impunità del sistema giudiziario è alimentata dalla corruzione, ma anche dall’indifferenza.

Esiste nel mondo contemporaneo una grande tolleranza per la sofferenza delle donne. Questo porta a un’indifferenza che insieme alla che permette un’alta percentuale di impunità. Oltre il 90% dei femminicidi rimangono senza alcuna punizione.  

Ad oggi il caso di Liliana rimane irrisolto. Neppure la visibilità portata successo del libro ha aiutato a farle giustizia.

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