Sessantotto bare: sono quelle dei profughi morti in mare nel Crotonese. Bare davanti alle quali il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato giovedì per esprimere cordoglio, il tutto mentre in Italia non si placano le polemiche su presunti ritardi nei soccorsi, tanto che la magistratura ha aperto un’inchiesta.
Mattarella a Crotone, continuano le polemiche
Telegiornale 02.03.2023, 20:00
Questa tragedia obbliga l’Europa intera a fare riflessioni sui flussi migratori e sulle poco convincenti soluzioni proposte dai Governi. Per inquadrare la situazione, il Telegiornale ha intervistato Roberto Cortinovis, ricercatore al Centro per gli Studi di Politica Europea di Bruxelles:
“Negli ultimi anni l’Unione Europea ha rafforzato le iniziative diplomatiche e politiche con i paesi di origine e transito dei flussi migratori, e questo di pari passo con la mobilitazione di ingenti risorse finanziarie. L’obiettivo dichiarato di queste iniziative è affrontare le cause che stanno alla base dei flussi, in particolari di ordine socioeconomico. Tuttavia, occorre dire che questa agenda ha dei limiti e delle contraddizioni: uno dei problemi principali è che migliorare le condizioni di vita nei paesi di partenza è un obiettivo complesso e di lungo periodo, mal si concilia con la priorità degli Stati europei di ridurre i flussi migratori nel breve periodo. Inoltre, non tutte le cause dei movimenti possono essere previste, anticipate. Pensiamo per esempio ai conflitti in Siria o Ucraina: è impensabile pensare che la situazione possa essere gestita delegando l’intera responsabilità ai paesi di prima accoglienza, anche se alcuni Governi europei ritengono che questa sia un’opzione percorribile”.
L’UE negli ultimi anni ha rafforzato le frontiere estere: quanto è difficile arrivare legalmente in Europa?
“Per molte categorie di rifugiati è particolarmente difficile. L’obiettivo di accresce le possibilità di ingresso legale è stato posto al centro di numerose iniziative anche all’interno del quadro delle Nazioni Uniti, con ad esempio il patto globale dei rifugiati. Si potrebbe favorire il ricongiungimento familiare o coinvolgere la società civile, i privati cittadini, così come è successo in parte con l’arrivo di profughi ucraini. Questa esperienza ha dimostrato che quando c’è la volontà di trovare soluzioni condivise, gli stati dell’Unione Europea possono gestire movimenti di ampia scala. Ma a mio avviso, quello che manca è un approccio uniforme e comune a queste situazioni: non si capisce per esempio perché la risposta alla situazione ucraina debba essere diversa e utilizzare strumenti diversi rispetto alla situazione in Siria o Afghanistan”.
In prospettiva, quanto è verosimile pensare a una situazione condivisa a livello europeo?
“Sin dalla crisi del 2015, l’UE continua a essere guidata da una logica che potremmo definire emergenziale e di breve periodo, basti pensare alla questione dei ricollocamenti su base volontaria che sono stati al centro di accesi dibattiti. Le gestioni e le difficoltà si ripercuotono non solo sulla relazione fra paesi ma anche all’interno dell’UE stessa. All’interno dell’area Schengen (di cui fa parte anche la Svizzera, ndr.) alcuni stati hanno reintrodotto i controlli alle frontiere e non sembrano intenzionati a ripristinare una situazione di normalità. A mio avviso, una situazione a livello europeo potrebbe essere trovata, ma richiede un cambio di rotta piuttosto netto nell’approccio politico degli Stati europei. Questo richiederebbe in primo luogo la disponibilità di riformare in profondità il sistema di Dublino, quindi le regole per la gestione dei richiedenti asilo, e un impegno senza ambiguità delle norme internazionali sul diritto di asilo, sul salvataggio in mare e sulle norme riguardanti la gestione dei confini interni ed esterni dell’area Schengen”.