Fake news, rumor campaign, disinformazione. Non solo per vincere un’elezione o un referendum, ma per scatenare una guerra culturale, condizionando comportamenti e, in ultimo, anche il voto. Perché Cambridge Analytica non era una semplice società di consulenza politica, ma un progetto più ambizioso. Egemonico, nell’affermazione della “informational dominance”, inserendo il proprio messaggio in tutti i flussi di informazione intorno all’obiettivo finale, ovvero gli elettori. Di cui Cambridge Analytica - attraverso modelli e algoritmi - era in grado di profilare tratti della personalità, idee politiche e possibili comportamenti. Miliardi di dati raccolti - senza consenso - attraverso una semplice app su Facebook. Una minaccia per la democrazia, ancora attuale, nonostante la chiusura di Cambridge Analytica. A lanciare l’allarme è Christopher Wylie, l’ex analista di CA, oggi whistleblower.
Facebook, come tutti gli altri social network, lo hanno “bannato” a vita, chiudendo i suoi profili. Perché le sue rivelazioni hanno smascherato lo strapotere incontrollato dei colossi della Silicon Valley di fronte alle fragilità dei processi democratici. Se Twitter ha deciso di bandire la pubblicità elettorale, Facebook continuerà ad accettarla sulla sua piattaforma, anche quando ingannevole, giustificando la sua linea aziendale con la libertà di espressione. Scelte editoriali opposte, ma entrambe legittime, fino a quando - e sarà comunque troppo tardi - il legislatore non avrà imposto regole nette e chiare anche per il web.
Lorenzo Amuso
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