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Narcotraffico: il Messico manda 29 boss negli USA

Una mossa politica dalla dubbia legalità e una vittoria per Trump, mentre si continua a negoziare su possibili dazi

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Il Messico ha estradato 29 narcos

Telegiornale 02.03.2025, 12:30

Di: Laura Daverio (da Città del Messico) 

L’estradizione negli Stati Uniti di narcotrafficanti non è una novità, ma avviene alla fine di una procedura legale che può tardare anni. In un’azione che rompe con il passato e segna un significativo passo politico, 29 boss di alto profilo, incarcerati in diverse prigioni messicane sono stati prelevati e mandati negli Stati Uniti. Un’operazione che ha richiesto il dispiego di 3’512 persone, 342 veicoli e 20 aerei.

Tra questi c’è anche Rafael “Rafa” Caro Quintero, che ha oggi 72 anni ed è stato uno dei primi boss del narcotraffico messicano. Per lui gli Stati Uniti chiede l’estradizione dagli anni ’80.  Quintero fu il co-fondatore del Cartello di Guadalajara, il primo a dedicarsi interamente alla droga. Fu sempre lui a ordinare l’uccisione di Enrique “Kiki” Camarena, agente della DEA statunitense in missione in Messico. Un episodio destinato a segnare profondamente i rapporti tra i due Paesi. Fu arrestato nel 1985 e poi liberato nel 2013 per un cavillo legale, nonostante la condanna a 40 anni di prigione. Dopo la sua scarcerazione, continuò a operare nel traffico di droga. Le autorità statunitensi avevano richiesto la sua estradizione fin dall’inizio, ma il suo team legale riuscì a ritardarla con vari rimandi e appelli.

L’arrivo negli Stati Uniti di Quitnero e di altri 28 criminali del narcotraffico è una vittoria politica per Trump, che riceve un numero record di estradizioni di fatto, e giustizia per la famiglia Camarena. Un risultato mai raggiunto dai suoi predecessori.

La decisione di Claudia Sheinbaum ha suscitato reazioni contrastanti: mentre alcuni lodano la fermezza della presidente, altri vedono un preoccupante precedente nella prevalenza della priorità politica su quella legale.

Il segretario alla Sicurezza, García Harfuch, ha difeso la mossa, sottolineando i crimini atroci commessi dai prigionieri e i ritardi nei processi legali, nonché accusando alcuni giudici di proteggere i narcotrafficanti. La giustificazione arriva mentre il Messico sta implementando una riforma giudiziaria che prevede l’elezione popolare di tutti i giudici a tutti i livelli, inclusa la Corte Suprema. Una riforma criticata per l’ingerenza politica nel sistema legale, ma che secondo il partito al potere, Morena, serve a combattere la corruzione.

Inoltre, Sheinbaum si trova a dover affrontare un altro conflitto legale, questa volta con Ismael “El Mayo” Zambada, boss storico del narcotraffico in attesa di processo negli Stati Uniti. Il suo team legale ha scritto una lettera alla presidente chiedendo il suo rimpatrio in Messico, dopo essere stato trasportato oltre il confine contro la sua volontà e qui arrestato. Il Governo USA ha sempre negato il suo coinvolgimento fuori dal territorio statunitense, ma le autorità messicane considerano che ci sia stata una violazione della sovranità del Paese.  Sebbene il suo reimpatrio non sia realisticamente possibile, il dilemma legale e politico rimane. La presidente deve bilanciare la difesa della sovranità messicana con la necessità di mantenere rapporti con l’amministrazione Trump, che chiede risultati veloci contro il narcotraffico.

Tutto ciò accade a pochi giorni dall’entrata in vigore dei dazi del 25% minacciati da Trump. Una delegazione messicana, incluso il segretario alla Sicurezza García Harfuch, ha appena visitato Washington, mentre la presidente Sheinbaum si prepara a un nuovo colloquio telefonico diretto con Trump.

La decisione di mandare i 29 criminali negli Stati Uniti evidenzia anche un cambiamento radicale nell’approccio alla sicurezza rispetto al predecessore e alleato politico di Claudia Sheinbaum, l’ex presidente López Obrador. La sua politica “Abbracci, non pallottole” mirava a ridurre il crimine affrontando le cause sociali ed economiche che ne favorivano l’espansione, evitando il ricorso alla forza militare. Sebbene la retorica della presidente Sheinbaum rimanga allineata con quella di López Obrador, i fatti mostrano un approccio decisamente più duro.

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