I numeri dei sondaggi fatti in un paese in guerra e nelle autocrazie sono sempre da prendere con le molle. Ma spesso sono l’unico strumento per cercare di sentire il polso della popolazione e tentare di fotografare una realtà che rimane comunque complessa. È il caso della Russia e del Levada Center, centro di ricerca indipendente, classificato come agente straniero, che con regolarità misura gli umori dei russi su un ampio spettro di dossier. Uno degli ultimi ha riguardato la guerra in Ucraina e le possibilità di terminare il conflitto che si sono aperte, con un’accelerazione repentina, con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. La linea del nuovo presidente statunitense a sua volta ha modificato le attitudini dei russi, negative sotto la presidenza di Joe Biden, tanto che adesso quasi la metà dei cittadini della Federazione russa si aspetta il miglioramento delle relazioni tra il proprio paese, gli Stati Uniti e l’Occidente e più della metà sostiene l’idea di ampliare i legami con i paesi occidentali.

Chiamata Putin-Trump ancora non c'è una data
Telegiornale 14.03.2025, 12:30
Rating di Putin in crescita
Il contesto interno della Russia è quello che dall’inizio del conflitto ha fatto segnare record di sostegno per Vladimir Putin, passato dal 63% della fine del 2021 all’88% del febbraio del 2025; il 73% dei russi ritiene oggi che il paese stia andando nella giusta direzione, rispetto al 48% di oltre tre anni fa. Il quadro attuale è quello di un largo consenso per il presidente, ma anche per il primo ministro Mikhail Mishustin, 75%, e per il Governo, 74%, e per l’intero apparato statale, dal parlamento, 63%, ai governatori, 73%. L’impressione è dunque quella di una stabilità sostanziale, al di là delle ragioni di un sistema irrigiditosi sempre più negli ultimi anni, con giri di vite repressivi nei confronti del dissenso. Anche le pressioni esterne, aumentate dopo l’inizio dell’invasione russa, soprattutto attraverso le sanzioni commerciali e finanziarie, sembra non stanno minando le sicurezze di fondo, con i due terzi della popolazione che affermano di non essere allarmati: l’opinione prevalente nella società è che i paesi occidentali cerchino principalmente di indebolire la leadership politica e più della metà dei russi ritiene che le sanzioni rafforzino in realtà il paese, che dovrebbe continuare la sua politica nonostante tutto.
Volontà di pace
In ogni caso, secondo i dati del Levada Center di febbraio, la visione della popolazione russa sul tema della guerra e della sua fine rispecchia nei punti essenziali quella del Cremlino, pur con qualche differenza. La maggior parte dei russi sostiene le azioni dell’esercito nazionale e ritiene che la cosiddetta operazione militare speciale stia procedendo con successo; oltre la metà è favorevole ai colloqui di pace, principalmente per porre fine alla perdita di vite umane; secondo la maggioranza, oltre alla Russia, anche gli Stati Uniti dovrebbero essere presenti al tavolo delle trattative per porre fine al conflitto; mentre un russo su due ritiene che l’Ucraina dovrebbe partecipare ai negoziati. Il campione valuta positivamente i primi approcci fra Mosca e Washington e circa un terzo dei russi è pronto a fare concessioni per firmare un accordo di pace; la maggioranza ritiene che l’ingresso di Kiev nella NATO e la restituzione di territori occupati sino a ora siano condizioni inaccettabili. In generale è comunque da sottolineare la similarità di vedute tra vertici politici e maggioranza dell’elettorato.
Stabilità e transizione
Proprio tale questione è rilevante non solo per la fase attuale e l’eventuale chiusura del conflitto, che per il Cremlino dovrà terminare, nella narrazione e nei fatti, con la vittoria, ma per quello che sarà sul breve periodo il futuro postbellico e su quello lungo lo scenario del dopo-Putin. Da questo punto di vista la stabilità attuale del sistema politico-sociale russo può preludere a una transizione, che prima o poi dovrà comunque arrivare, senza scossoni. L’architettura costruita da Vladimir Putin a partire dal suo primo mandato, cominciato con la prima elezione di venticinque anni fa, il 26 marzo del 2000, è stata finalizzata per rafforzare all’interno l’élite dominante, modificatasi nel corso dei decenni, e all’esterno la Russia, riportandola ad essere uno dei global player dopo il collasso del periodo post comunista e il decennio della presidenza di Boris Yeltsin. Sotto questa prospettiva è da leggere anche il passaggio generazionale che sta avvenendo, più o meno sottotraccia, nelle istituzioni, negli organi dell’amministrazione, civile, militare e di sicurezza e anche nelle oligarchie economiche, tutti pilastri del sistema putiniano. È da queste variegate fondamenta che viene reclutata la nuova classe dirigente, fedele al regime, secondo una schema ormai consolidato che tiene conto comunque degli equilibri interni e dei vari gruppi concorrenti, soprattutto quelli per tradizione più aggressivi, vale a dire quelli emanazione diretta dei poteri forti, militari e d’intelligence.
Nessuna sorpresa in arrivo
Sotto Putin (classe 1952) ha però trovato anche largo spazio anche la corrente dei tecnocrati, rappresentata ad esempio dal premier Mikhail Mishustin (1966), per dieci anni a capo del Servizio federale fiscale e arrivato a prendere le redini del Governo nel 2020, o della governatrice della Banca, dal 2013, centrale Elvira Nabiullina (1963). Anche Kirill Dmitrev (1975), direttore del Fondo sovrano russo che ha partecipato ai primi colloqui tra Russia e USA a Riad, è uno degli esponenti di punta, insieme con il meno conosciuto in pubblico Anton Vaino (1972), capo dal 2016 dell’Amministrazione presidenziale, la vera macchina esecutiva che sta dietro a Putin. Quando ci sarà il passaggio di consegne tra l’attuale presidente e il suo successore difficilmente quindi né in Russia, né fuori ci saranno sorprese dietro l’angolo: la rosa dei pretendenti è ampia, ma all’insegna della continuità.