I Paesi europei hanno quasi raddoppiato le loro importazioni di armi fra il 2019 e il 2023, secondo i nuovi dati diffusi lunedì al SIPRI, l’istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma. Volumi crescenti sono stati inviati in Asia e Oceania, dove si trovano nove dei dieci maggiori importatori. L’altro è l’Ucraina in guerra con la Russia, che si situa al quarto rango totale nella classifica comandata dall’India.
Chi ha guadagnato da questo trend? Fra i produttori e rivenditori gli Stati Uniti figurano ampiamente al primo posto con una quota globale sull’ultimo quinquennio del 42% (era al 34% nel calcolo sul periodo 2018-2022). Hanno accresciuto le loro vendite del 17%, mentre la Russia ha visto dimezzato il suo export e per la prima volta figura solo al terzo rango, preceduta anche dalla Francia, che pure risulta in crescita (del 47%).
Washington guadagna acquirenti, mentre Mosca ne perde: nel 2019 aveva venduto a 31 Stati, nel 2023 a 12, ma India e Cina da sole hanno generato più di metà del fatturato.
Per la prima volta da 25 anni, gli Stati Uniti sono diventati il primo esportatore verso l’Asia, anche perché loro alleati e clienti come Giappone (+155%) e Corea del Sud (+6,5%) hanno comprato di più. Questo nel solco dei timori legati alle relazioni con Pechino, come spiega Siemon Wezemen del SIPRI. La Cina stessa, invece, compra sempre meno (lo faceva soprattutto dal Cremlino), anche perché sta rafforzando le proprie capacità produttive.
Il conflitto ucraino ha spinto come detto l’Europa a spendere significativamente di più che in passato: +94% (il confronto è sempre fra 2018-2022 e 2019-2023). Se Kiev figura chiaramente al primo posto fra gli acquirenti europei, anche tutte le altre capitali hanno messo mano al portafoglio, in particolare per sistemi di difesa antiaerea. Poche le eccezioni: Svizzera, Italia, Finlandia, Irlanda, Grecia, Albania e Montenegro. “Il livello delle importazioni europee resterà alto anche nei prossimi anni”, rileva Wezeman. È interessante notare come gli europei non tendano a spendere “in casa”, dando lavoro ai Paesi vicini, ma piuttosto oltre Atlantico: la quota di armi nuove americane è passata dal 35% al 55% del valore complessivo.