Un attivista svizzero-egiziano, nel giorno in cui il presidente al Sissi (rieletto in marzo) ha giurato per il suo secondo mandato quadriennale, attende da settimane il rilascio della moglie. "La Commissione per i diritti e le libertà ha due avvocati che hanno ricevuto un mandato dalla famiglia Giulio Regeni. Arrestando mia moglie, si vuole prendere di mira me e la mia associazione", ha raccontato al Radiogiornale Mohamed Lotfy. Si dice convinto che è proprio il legame con l'inchiesta sulla morte del ricercatore italiano, rapito e ucciso al Cairo nel 2016, ad aver attirato l'attenzione delle autorità.
"Alle 2.30 del mattino le forze speciali si sono presentate a casa nostra. Ci hanno portati tutti via, anche mio figlio che avrei voluto lasciare dai nonni": Lotfy racconta così l'inizio dell'odissea della compagna Amal Fathy, con lui impegnata per la difesa dei diritti umani. Era l'11 maggio e la sua detenzione non finirà prima del 7 giugno, anche se in realtà non si sa quando verrà liberata. Le accuse nei suoi confronti, dall'incitamento a rovesciare il Governo fino all'appartenenza a un'associazione terroristica, sono molto pesanti.
L'UE ha criticato la repressione in atto, tuttavia, secondo Lotfy, continua a privilegiare la stabilità del regime alla luce della lotta contro il terrosimo. Ma "più le libertà si assottigliano", ritiene, "meno ci sono possibilità di cambiamento pacifico".
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