Monta la tensione interetnica nel nord del Kosovo, tanto che il presidente serbo Aleksandar Vucic, nella sua qualità di capo supremo delle Forze armate, ha ordinato ieri sera – lunedì – lo stato di massima allerta per l'esercito e le forze di polizia del paese balcanico.
Stando ai media serbi, la decisione è stata presa per la necessità di difendere la popolazione serba difronte a quelle che vengono ritenute le crescenti provocazioni e minacce alla loro sicurezza e incolumità fisica da parte delle autorità di Pristina.
I timori riguardano in primo luogo un possibile intervento della polizia e delle forze di sicurezza kosovare per rimuovere i blocchi stradali e le barricate che i serbi locali attuano da 17 giorni nel nord del Kosovo per protesta contro l'arresto ritenuto ingiustificato di tre serbi e per l'invio al nord a maggioranza serba di massicce forze di polizia kosovara. Una protesta che riguarda tuttavia la generale politica della dirigenza kosovara ritenuta ostile e discriminatoria nei confronti dei serbi del Kosovo.
La Serbia ha detto il primo vicepremier e ministro degli esteri Ivica Dacic, è pronta a intervenire in caso di attacco ai serbi del Kosovo. Anche se, ha aggiunto, Belgrado è sempre impegnata a risolvere tutti i problemi con il dialogo e a mantenere la pace nella regione. "Noi siamo per la pace e il dialogo, ma se si arrivasse ad attacchi fisici e all'uccisione di serbi, e se la KFOR (Kosovo Force, forza militare internazionale guidata dalla NATO, ndr.) non dovesse intervenire, la Serbia sarà costretta a farlo", ha detto Dacic citato dai media.
Il ministro degli esteri ha al tempo ricordato le tre linee rosse che Belgrado ritiene invalicabili: la creazione della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo; il fermo "no" all'indipendenza del Kosovo e alla sua eventuale ammissione all'ONU e ad altre importanti organizzazioni internazionali; la difesa della sicurezza e dell'incolumità fisica dei serbi del Kosovo.