L'embargo al petrolio russo via mare dell'UE e il "price cap" a 60 dollari al barile entrano in vigore. E fra l'incertezza sull'impatto che le nuove misure avranno, l'OPEC+ prende tempo e mantiene invariati gli attuali livelli di produzione.
In una breve riunione virtuale i 13 Paesi dell'OPEC e il blocco guidato dalla Russia hanno optato per mantenere lo status quo di fronte all'imprevedibilità della domanda fra le restrizioni a Mosca, i lockdown da Covid-19 in Cina e il rallentamento dell'economia globale. Una mossa attesa dagli analisti, secondo i quali l'atteggiamento "wait and see" (aspetta e vedi) dell'OPEC+ ha senso, in attesa di capire l'impatto pieno delle nuove misure contro la Russia.
"Di fronte ai grandi rischi geopolitici che pesano sul mercato del petrolio, l'OPEC+ ha comprensibilmente ritenuto di tenere duro" e mantenere i livelli di produzione decisi in ottobre, spiegano alcuni analisti, notando come sul mercato pesa anche l'incognita Cina, il maggiore importatore di petrolio al mondo. I lockdown da coronavirus hanno rallentato e possono frenare l'economia cinese, rendendola di fatto meno affamata di greggio.
L'impatto reale dell'embargo europeo e del price cap (fissato comunque a un livello superiore dei 50 dollari a cui è scambiato il greggio degli Urali) non è ancora chiaro, ma Mosca ha ribadito chiaramente anche al termine dell'OPEC+ che non intende vendere il suo oro nero a nessuno di coloro che adotta il tetto ai prezzi. "Venderemo petrolio e prodotti petroliferi ai Paesi che lavorano con noi sulla base delle condizioni di mercato, anche se questo volesse dire che dobbiamo ridurre un po' la produzione", ha detto il vice primo ministro russo Alexander Novak.
I trader prevedono un calo delle esportazioni petrolifere russe nei prossimi mesi e l'entità del calo determinerà probabilmente l'andamento del prezzo del petrolio nel 2023, ovvero se le quotazioni affonderanno o saliranno. "Non sappiamo se il price cap eviterà distruzioni sul mercato o se Mosca ha qualcosa di ancora più distruttivo in cantiere", mette in evidenza Helima Croft, ex analista della CIA ora a RBC Capital Markets, con il Financial Times.
Il timore è quello di un calo delle quotazioni in grado di convincere l'Arabia Saudita a intervenire per difendere i prezzi, infliggendo così un duro colpo alla speranza di un'inflazione più contenuta in molte economie il prossimo anno.