Dopo un giorno di cessate il fuoco, sono ripresi giovedì mattina nel sud del Caucaso gli scontri armati transfrontalieri fra truppe armene e azere. I rispettivi Ministeri della difesa si accusano reciprocamente di avere iniziato le ostilità, sostenendo entrambi di aver risposto a un'offensiva della controparte.
Artiglieria pesante e droni, da domenica, avevano già causato sui due fronti 16 morti in tutto - 11 sul lato azero, compreso un generale - in quella che è la più grave crisi militare fra i due paesi da tre anni a questa parte. Baku, che almeno a parole ha già ricevuto il sostegno della Turchia, e Erevan (alla quale è invece vicina Mosca) sono da decenni in conflitto per la regione del Nagorno-Karabakh, che dalla fine della guerra del 1994 è controllata da forze di etnia armena. Gli sforzi internazionali copresieduti da Russia e Stati Uniti per risolvere la vertenza sono da tempo in una fase di stallo e le scaramucce lungo il confine sono state frequenti in passato, anche se non sempre di questa gravità.
Migliaia di persone hanno manifestato nella notte su mercoledì a Baku, malgrado il divieto imposto a causa della pandemia di COVID-19, esortando il presidente dell'Azerbaigian Ilham Aliyev a decretare la mobilitazione. I dimostranti urlavano slogan come "Avanti, soldati", "Gloria all'esercito" e "Il Karabakh è nostro". La polizia ha reagito a manganellate, in particolare quando un piccolo gruppo ha tentato di fare irruzione nella sede del Parlamento.