Squilla. Ho perso il conto di quante volte in questi giorni il nostro traduttore, Alexei, ha compiuto questo gesto: impugnare il cellulare, comporre un numero, aspettare in linea.
Oggi sembra più difficile del solito ottenere una risposta. Nelle scorse settimane sono circolate cifre ufficiose sul dispiegamento di agenti a Sochi - forse 30'000 - e sui metodi usati dall'intelligence russa (FSB) per garantire la sicurezza: intercettazioni e incursioni varie nella sfera privata, sparizioni forzate.
Vorremmo vederci un po' più chiaro e trovare un interlocutore. "Se ci intercettano per davvero, sapranno già che siamo alla ricerca di qualcuno!", scherziamo tra di noi per rompere la monotonia. Le telefonate iniziano con un numero di telefono e finiscono con un altro numero. E poi un altro. E poi un altro ancora. C'è chi, stupito, si chiede: come siete arrivati a me? Forse, anche volendo, non glielo sapremmo spiegare.
Infine qualcuno del Ministero dell'interno russo dà solidità a quel muro di gomma che ci aveva fatto finora rimbalzare da una parte all'altra: "Nessuno risponderà mai alle vostre domande". Punto.
Passati in rassegna i canali ufficiali, ci buttiamo alla ricerca di canali un po' più ufficiosi. Si annuncia un'altra ricerca senza speranza, fino a quando Serghei Goncharov, presidente dell'associazione dei veterani del gruppo Alpha, una delle forze speciali antiterrorismo più rinomate in Russia, decide di parlarci. Non si stupisce delle nostre difficoltà. "Il problema non sono i giornalisti, ma è che per eventi di questo tipo tutte le energie sono concentrate nella preparazione del dispositivo di sicurezza, non c'è spazio per allestire un ufficio stampa". E io che pensavo che i media fossero considerati parte del problema, con la loro ossessione per la trasparenza!
A proposito di trasparenza: "voi dite che noi usiamo metodi antidemocratici, noi facciamo esattamente quello che va fatto per garantire la sicurezza. Succede in tutto il mondo". Ringraziamo e appendiamo il telefono. Dopotutto, un altro muro di gomma.