L’analisi

USA, un Super Tuesday poco… super

Negli Stati Uniti si vota in quindici Stati per le primarie in vista delle presidenziali di novembre, con Donald Trump a un passo dalla conquista matematica della nomination repubblicana

  • 5 marzo, 13:03
  • 5 marzo, 15:01
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RG 12.30 del 05.03.2024 Il reportage di Andrea Vosti

RSI Info 05.03.2024, 13:19

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Di: Andrea Vosti, corrispondente RSI negli Stati Uniti 

È arrivato il giorno del Super Tuesday, il Super Martedì segnato in rosso ogni quattro anni sul calendario elettorale americano. Si vota in quindici Stati – inclusi i popolosi Texas e California – e nel territorio delle Samoa americane, con in palio circa un terzo del totale dei delegati, cioè i rappresentanti che avranno il compito formale di assegnare la “nomination” durante le convenzioni democratica e repubblicana in programma in estate. Eppure, mai come in questa tornata elettorale la competizione è stata meno interessante e l’esito del Super Tuesday più scontato.

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Comizio di Donald Trump a Richmond, in Virginia

  • Andrea Vosti/RSI

La posta in gioco

Se in campo democratico Joe Biden è di fatto il candidato ufficiale del partito – l’unico sfidante, il deputato del Minnesota Dean Philips, è fermo a zero delegati – tra i repubblicani l’ex presidente Donald Trump è a un soffio dalla definitiva incoronazione tris, dopo quelle del 2016 e 2020 (quando correva per essere rieletto). Fin qui, Trump ha vinto o dominato tutte le primarie, dall’Iowa alla Carolina del Sud, con l’unica eccezione del Distretto di Columbia, dove ha prevalso l’ex ambasciatrice all’ONU Nikki Haley. Il conteggio parziale parla di 247 delegati già assegnati all’ex presidente e appena 24 alla sua rivale; con gli 865 delegati in paio nel Super Tuesday ecco che il tycoon – fresco di decisione favorevole della Corte Suprema sulla sua eleggibilità in Colorado – potrebbe avvicinarsi alla soglia “magica” dei 1’215 delegati necessari per l’investitura repubblicana.

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Nikki Haley in Massachusetts

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Fine corsa per Nikki Haley?

Per l’ex governatrice della Carolina del Sud la corsa verso la nomination assomiglia sempre più a una umiliante Via Crucis. Fin qui Haley ha perso nettamente in tutte le sfide che contano, compreso il suo Stato, e pur offrendo una credibile alternativa generazionale, nonché di genere, non è riuscita a fare breccia dentro una base conservatrice “innamorata” di Donald Trump. Di fatto, Nikki Haley ha dovuto sfidare non soltanto un candidato potente come l’ex presidente, ma anche tutto un movimento, il popolo dei MAGA (Make America Great Again) che sta dettando la direzione sempre più populista e isolazionista del partito repubblicano. Haley ha puntato, senza grande successo, sul voto dell’elettorato più moderato e indipendente e sulla fetta di repubblicani “Never Trump”, ma con la sua ostinata decisione di restare in corsa dopo il New Hampshire rischia di pregiudicare le sue future ambizioni politiche dentro un partito ostaggio del “trumpismo”.

Investitura o incoronazione?

Nikki Haley lo ha ripetuto spesso, per giustificare la sua ostinata resistenza: “Questa è un’elezione, non un’incoronazione”. Ma la sensazione – andando ai comizi di Donald Trump, l’ultima volta qualche giorno fa a Richmond, in Virginia – è che l’ex presidente abbia completamente trasformato il partito repubblicano. La venerazione totale, incondizionata dei suoi sostenitori – anche di fronte ai quattro processi penali in cui Trump è invischiato – ha un elemento di pericolosamente settario, come pure il culto della personalità associato alla figura dell’ex presidente, che è stato oltretutto abilissimo a giocare la parte della vittima di una persecuzione politica e giudiziaria. La visione repubblicana tradizionale – rigore nella spesa pubblica, tagli alle tasse, interventismo sulla scena internazionale – è stata spazzata via, sostituita da un populismo cupo, vendicativo e isolazionista, in cui è il corrotto Joe Biden a rappresentare la “principale minaccia per la democrazia americana”.

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USA, Trump eleggibile in Colorado

Telegiornale 04.03.2024, 20:00

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