L’analisi

Ucraina-UE, un processo di adesione dal destino incerto

La guerra ha accelerato l’avvicinamento di Kiev all’Unione ma il conflitto stesso rende indefinibili i tempi con cui l’intesa potrà essere raggiunta

  • 27 giugno, 05:43
  • 27 giugno, 12:37

RG 09.00 del 26.06.24: il servizio di Davide Maria De Luca

RSI Mondo 26.06.2024, 09:00

  • Keystone
Di: Stefano Grazioli

L’Unione Europea e l’Ucraina hanno tenuto la prima conferenza intergovernativa a livello ministeriale che segna l’avvio ufficiale dei negoziati per l’adesione dell’ex repubblica sovietica all’Unione. Le reazioni sono state enfatiche da entrambi i lati e se da Bruxelles l’ancora presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha parlato di un momento storico, da Kiev gli ha fatto eco il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha ricordato come il 28 febbraio 2022, pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, Kiev avesse immediatamente formalizzato la richiesta di adesione. Nel giugno dello stesso anno l’Ucraina aveva ottenuto lo status di paese candidato e nel novembre del 2023 la Commissione europea aveva formulato la raccomandazione per l’avvio delle trattative, decisa poi a dicembre dai leader dell’UE. A seguito dei progressi compiuti dall’Ucraina, nel marzo 2024 Bruxelles ha deciso quindi di adottare rapidamente il progetto di quadro negoziale che è appunto appena partito. Queste le tappe più recenti di un processo che si sa quando è iniziato, ma non quando finirà.

La guerra come acceleratore

La guerra e il suo andamento sono ovviamente la grande incognita che pesa sul corso delle trattative, rendendo impossibile la precisazione della tempistica. Allo stesso modo il conflitto ha dato un’accelerazione evidente a un processo avviato da decenni. Se appena dopo il crollo dell’Unione Sovietica l’avvicinamento tra Kiev e Bruxelles era stato lento, soprattutto nel primo decennio e il doppio mandato presidenziale di Leonid Kuchma (1994-2005), in seguito alla Rivoluzione arancione del 2004, all’arrivo di Victor Yushchenko (2005-2010) e al progetto promosso dall’Unione del Partenariato Orientale (dal 2009), le distanze si sono accorciate. Per poi allungarsi di nuovo sotto Victor Yanukovich (2010-2014) e il conflitto aperto tra Kiev e Bruxelles sul caso di Yulia Tymoshenko, ex premier accusata di abuso d’ufficio e finita in carcere.

Con l’Accordo di associazione già parafato, quindi pronto da firmare per la sua parte economica, Yanukovich si oppose però alla sigla dell’intesa, con la parte politica lasciata insoddisfatta proprio per le questioni sulla giustizia e il rispetto dei diritti umani, scatenando la reazione dell’opposizione ucraina e di parte del paese nel novembre del 2013. Le proteste a Kiev sfociarono poi nella rivolta cruenta di Maidan nel febbraio del 2014 e nell’arrivo di un governo filoccidentale, che firmò successivamente l’Accordo di associazione con Bruxelles, in entrambe le sue parti. Da parte di Kiev la richiesta di adesione all’Unione è arrivata infine solo dopo la presidenza di Petro Poroshenko (2014-2019) e buona parte di quella di Zelensky, con lo scoppio della guerra.

La guerra come freno

Se quindi ha accelerato l’inizio del processo di adesione, il conflitto senza prospettive di pace rischia di essere il freno verso la conclusione di esso. La tabella di marcia non ha una tempistica precisa, al di là di quella dei modelli adottati negli altri casi di allargamento, sempre variabili. I compiti sono chiari, cominciando dalla teoria e dal cosiddetto screening, dove il diritto europeo, suddiviso in 35 capitoli, dovrà essere confrontato con le leggi ucraine, segnalando necessità di correzioni o riforme. Questo processo richiede solitamente un anno, ma potrebbe essere più breve, data l’urgenza con cui da oltre due anni si tratta il dossier a Bruxelles. In un secondo momento cominceranno le trattative vere e proprie sulla cui durata è difficile esprimersi proprio perché la guerra incide sul funzionamento dello Stato ucraino, minandone la sovranità.

Il modello di Cipro

Il nodo è in definitiva essenzialmente politico è solo la pacificazione definitiva, nel contesto della ristrutturazione dell’architettura di sicurezza continentale, potrà scioglierlo. All’interno dell’Unione Europea c’è comunque l’esempio di Cipro, repubblica entrata nel 2004, quattordici anni dopo la richiesta fatta nel 1990: l’isola è in realtà divisa, con la Repubblica di Cipro Nord, riconosciuta e sostenuta solo dalla Turchia, e il paradosso che un membro della NATO, la Turchia appunto, sostiene l’occupazione contro il diritto internazionale di un lembo di Unione Europea. La situazione dura dal 1974, dopo l’invasione delle truppe turche, e non si è mai risolta. Allo stesso modo è plausibile ritenere che in assenza di un trattato di pace che segni la fine della guerra in Ucraina e con il paese di fatto diviso, parte dell’ex repubblica sovietica possa entrare, in un futuro non certo prossimo, nell’Unione Europea.

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