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"Vinta la prima battaglia, non la guerra"

Intervista all’epidemiologo Alessandro Vespignani: "Se vogliamo tornare alla normalità servono strategia e pazienza"

  • 10 maggio 2020, 13:18
  • Ieri, 19:24
03:38

Pessimismo sulle riaperture negli USA

Telegiornale 10.05.2020, 12:44

Di: Massimiliano Herber 

Alessandro Vespignani è un fisico che da oltre 20 anni studia la diffusione delle epidemie, analizza le mosse del virus analizzando modelli informatici. Insegna alla Northeastern University di Boston ed è stato tra i primi a intuire la pericolosità del Coronavirus. “Ero in Europa, ricorda, quando mi chiamarono e mi chiesero cosa pensassi del focolaio scoperto in Cina e quando vidi che questo “coronavirus” si trasmetteva anche con gli asintomatici asintomatica iniziai a essere molto preoccupato”.

Prevedere la “tempesta perfetta”

È un po’ come fare il meteorologo, ha raccontato Vespignani al Telegiornale RSI, con la differenza che oltre ai modelli numerici, “loro hanno delle bellissime foto satellitari, come un occhio del ciclone, per mostrare quando una tempesta si sta avvicinando. Noi parliamo di numeri che però sono invisibili per lungo tempo”. Da qui nasce, spiega, la difficoltà per tutti i Governi del mondo nel decidere e nel reagire agli allarmi come quelli del Covid-19. “Noi andiamo dei governanti dicendo: guardate oggi ancora non vedete nulla ma in realtà ci sono 30'000 casi e tra due settimane cominceranno ad esserci gli ospedali pieni…”. Senza dimenticare, aggiunge, che “le nostre sono previsioni che si fanno in probabilità, e questa epidemia molto spesso ha toccato i limiti peggiori di quello che veniva previsto”.

Una lezione da trarre

“Dobbiamo capire, spiega Vespignani, che il processo decisionale e la risposta alle malattie infettive non può essere basato solamente sull’evidenza che arriva dal campo, ma deve ascoltare anche coloro che usano modelli perché il nemico rimane invisibile a lungo. Quando si iniziano a contare i decessi sono già trascorse tre settimane da quando l’onda del contagio era importante”.

I sospetti sulla Cina

Le accuse a Pechino per i ritardi e per aver nascosto l’origine del virus lo lasciano perplesso. “Quando parliamo di ritardi, ognuno dovrebbe guardare in casa propria”, chiosa l’informatico epidemiologo. “La Cina ha tardato tra i 6 e i 10 giorni a comunicare se ci fosse una trasmissione da uomo a uomo di un virus sino allora sconosciuto: è normale. Cercare un capro espiatorio nella Cina onestamente mi sembra fuori luogo in questo momento non aiuta nessuno e non aiuta sicuramente la gestione dell'epidemia”.

La situazione negli Stati Uniti

Oggi negli Stati Uniti vi sono 1 milione e duecentomila contagi e oltre 75'000 decessi. Mercoledì l’ex direttore del CDC, Tom Frieden, ha annunciato 100'000 morti in USA entro la fine del mese… “Ha usato i nostri modelli, sorride Vespignani, ed è più che probabile che si raggiungerà quella cifra”. Ma allora il bilancio finale fino a 250'000 morti inizialmente ipotizzato da Trump non è stato evitato? “Io credo che saremo bravi se conterremo sotto questi 250'000, in realtà 100'000 era una stima molto molto ottimista fatta immaginando un paese completamente chiuso. Poi i confronti bisognerebbe farli con i numeri con cui avremmo dovuto fare i conti in caso l’epidemia non fosse mitigata. In USA si parlava di 2 milioni di morti”.

Da qualche giorno vediamo più mobilità e più contatti”, dice Vespignani alla luce delle ultime proiezioni, “c’è un po' di stanchezza nella popolazione e vediamo che comportamenti che erano al ribasso, adesso hanno cambiato traiettoria. Per alcuni Stati vi è una crescita del numero di decessi, del numero di casi…”.

La gestione Trump

No comment…” Vespignani collabora con la task-force presidenziale e preferisce non parlare dell’operato di Trump e dei singoli Governatori, “Non voglio puntare l’indice su nessuno, ogni Stato ha preso o non preso decisioni in base ai suoi dati, alle sue esigenze economiche…”. L’epidemiologo però difende la chiusura americana dei voli dalla Cina a fine gennaio. “Era ragionevole, ricorda, non sapevamo che c’erano già asintomatici e così ha perlomeno ritardato di due mesi la diffusione del contagio. Come abbiamo usato questo tempo guadagnato con la chiusura dei voli e con i controlli alle frontiere questo è un altro discorso…”

Casi sommersi, numeri sottostimati

La John Hopkins University ha calcolato che i morti in Svizzera per Covid-19 sarebbero il 29 per cento in più di quelli contabilizzati. “C’è un’enorme attività invisibile, concorda Vespignani, per i decessi si parla di una mortalità sommersa che spesso varia dal 10 al 15 per cento. Poi dipende dalle nazioni, dai singoli stati o regioni… Quando si danno le cifre dei contagi, invece, si parla di punta dell’iceberg perché la loro identificazione dipende dall’aver fatto il tampone. È una buona regola, come si dice in epidemiologia, di moltiplicare per 10 i casi accertati per capire quali sono quelli reali”.

L’accompagnamento durante le riaperture

“Io lo ripeto da tempo, ribadisce il 55enne romano, è necessario un approccio di tipo bellico. Se vogliamo tornare alla normalità serve tempo e una strategia, una grande infrastruttura, le “3 T” – test, tracciamento e trattamento – ma nessun paese – non solo gli Stati Uniti – mi pare preparato. Sono necessari i test, il trattamento – con strutture ospedaliere e anche alberghiere Covid sempre pronte – e il tracciamento. Dobbiamo tracciare i casi sintomatici e tracciare i loro contatti e, se il caso isolarli. Solo così riusciremo a rompere direttamente le catene di trasmissione della malattia e avremo un effetto enorme sulla diffusione”.

Il futuro

“Ancora a lungo, chiosa, vivremo in punta di piedi. Quello che abbiamo fatto fino adesso è la prima battaglia di questa guerra, ce ne saranno altre. Più saremo preparati, più queste battaglie saranno …come dire… vittoriose e saranno soprattutto meno sanguinose, in qualche modo. Se noi siamo bravissimi addirittura forse non dovremmo neanche combatterle. Però dobbiamo essere pronti e allertati per i prossimi mesi”.

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