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Albania, memorie ritrovate (2)

L'orrore del campo di concentramento di Tepelene dove morirono oltre 300 bambini e che presto diventerà museo

  • 3 novembre 2017, 07:14
  • 23 novembre, 03:49
03:07

L'arte rivelatrice di Lek Pervizi

RSI/Matteo Tacconi 03.11.2017, 06:30

  • ©Matteo Tacconi

È irriconoscibile. Un ammasso di palazzine che cascano a pezzi, senza porte e finestre. E lì accanto un prato d’erba spelacchiato. Ma tra il 1949 e il 1954 questo posto, a Tepelene, fu uno dei più terribili campi di lavoro forzato del regime comunista. Ci finivano soprattutto mogli e figli di uomini invisi al regime, rifugiati sulle montagne o riparati all’estero.

Il lavoro era massacrante. I prigionieri dovevano salire sulle alture alle spalle del campo, attraversando il fiume Vjosa nei suoi punti guadabili. Si caricavano sulle spalle dei fastelli di legna, presi dal bosco, e poi di nuovo dovevano passare il fiume. D’inverno c’era un gran vento e faceva freddo. La durezza del lavoro e il clima, che non faceva sconti, costarono a molti la vita.

Morirono anche molti bambini. Trecento, si dice. Tanti furono uccisi dalla dissenteria, causata dalle pessime condizioni igieniche nel campo.

Di recente si è affermata l’idea di costruire un museo-memoriale che onori le vittime (ora c’è solo una lapide bianca) e sappia ricordare e ricreare le condizioni tremende dell’internamento. Per essere il più fedeli possibili nelle ricostruzione, i promotori del museo-memoriale, tra cui figura l’Autorità che sta desecretando i file della polizia segreta comunista, si affidano alla memoria dei sopravvissuti.

Quella di Lek Pervizi, che qui passò alcuni anni da ragazzo, è fondamentale. Forse più delle altre. Pervizi è un pittore, e ha prodotto molti disegni sul campo di Tepelene. In assenza di filmati o foto, sono l’unica fonte visiva su quel periodo, breve ma infelice, del ‘900 albanese.

Matteo Tacconi

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