Per decenni Europa e Stati Uniti hanno esportato la maggior parte dei loro rifiuti di plastica in Cina, che era alla ricerca di materiale a basso costo. Quando però Pechino ha detto basta alle importazioni nel 2018, la filiera mondiale si è ritrovata nel caos, esponendo le falle di un commercio intercontinentale, che genera miliardi di franchi. Si sono quindi aperte nuove rotte per le scorie occidentali, in particolare nel sudest asiatico, dove arriva il 75% dell’immondizia del pianeta.
In Malaysia le importazioni nel 2018 sono aumentate del 195,4 % rispetto al 2017, ma anche Vietnam, Thailandia, Indonesia, sono destinazioni gettonate, prive però di un sistema di riciclaggio efficiente e dove sono sorte decine di aziende, che spesso operano senza licenza e senza rispettare le norme ambientali. Le attività illegali portate alla luce da Greenpeace, hanno spinto i governi della regione a rispedire le scorie ai paesi di origine.
Se da una parte il sudest asiatico ha visto una grande opportunità economica, dall’altra non vuole diventare la nuova Cina e sa di non poter processare l’enorme volume di rifiuti, considerato che la maggior parte è contaminata e quindi non trasformabile in prodotti di qualità o di grande valore economico. Tonnellate di rifiuti finiscono quindi nell’ecosistema in attesa di soluzioni.