A un mese dall’esplosione che ha sconvolto Beirut, sono più di 500mila le persone che sono rimaste senza tetto. Tra queste, specie tra gli abitanti dei tre quartieri più vicini al porto - Gemmayze, Achrafiyeh e Mar Mikhael – in migliaia hanno perso tutto nell’arco di pochi secondi: la casa, il negozio o l’attività, l’auto, uno o più familiari.
Così è successo a Livia Caruso, imprenditrice italo-olandese trapiantata a Beirut da alcuni anni e al marito libanese, Hussein Farran, ristoratore. I due, durante l’esplosione, si trovavano nel bar di loro proprietà, Riwaq, nel cuore del quartiere armeno, Mar Mikhael, e sono rimasti feriti. Ma risolta la loro condizione di salute, psicologicamente si sono ritrovati disfatti e disarmati. “Se abbiamo deciso di rimanere a Beirut, oggi – dice Livia – una città in cui gli abitanti sono stati lasciati al loro destino da un governo inesistente, lo dobbiamo ai nostri amici all’estero che si sono subito mobilitati con una raccolta fondi per noi”. Ma Livia e Hussein non hanno pensato a ricostruire la loro casa e il loro bar solo per loro. “Il caffè Riwaq – spiega Hussein – è un punto di riferimento del quartiere, un luogo dove si fa società e politica: non potevamo lasciarlo andare come nulla fosse”. Per questo è stata aperta una nuova raccolta fondi per aiutare tutta la gente del quartiere che ruota intorno a Riwaq e la disperazione e lo shock hanno ceduto il posto ad una ostinata, battagliera speranza.
Laura Silvia Battaglia