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Il poeta che voleva guarire

Storie di Giordania 3 - L'iracheno Mounir che nell'ospedale di Medici senza Frontiere ad Amman ha iniziato a scrivere poesie

  • 21 maggio 2018, 07:53
  • 23 novembre, 01:31
03:12

Poesie di guerra - Giordania 3

RSI/Gilberto Mastromatteo - Massimo Lauria 21.05.2018, 07:30

  • ©Massimo Lauria

La guerra in Iraq gli ha portato via un braccio e una gamba. Oggi scrive poesie, nel suo letto d'ospedale, ad Amman. La storia di Mounir Diya inizia nel governatorato di Babil, poco distante dalla capitale Baghdad. Un'esplosione lo ferisce gravemente agli arti inferiori e a quelli superiori. Viene operato, gli amputano il braccio sinistro e la gamba destra. L'altra è fratturata in più punti. In Iraq non c'è ospedale che possa trattare la complessità delle sue lesioni. Si trasferisce in Giordania, all'ospedale di chirurgia ricostruttiva di Medici senza Frontiere. Qui, gli viene costruita una gamba artificiale, mediante la quale in futuro riuscirà a camminare di nuovo.

Sono centinaia i feriti di guerra ricoverati nella struttura di Msf ad Amman. Un palazzo di otto piani, interamente dedicato alla chirurgia ricostruttiva e alla riabilitazione di pazienti provenienti dai diversi conflitti dell'area. Dall'Iraq, dalla Siria, dallo Yemen. Ma anche dalla striscia di Gaza. L'ospedale è stato aperto nel 2006 nella capitale giordana. Da allora ha accolto oltre 5 mila pazienti, per un totale di 11 mila interventi chirurgici. Il 56 per cento dei ricoverati viene dall'Iraq, poi yemeniti e palestinesi. Ma negli ultimi tempi sale sempre di più il numero di coloro che provengono dalla martoriata Siria. Oltre ad un'equipe di medici specializzati nella chirurgia ortopedica, plastica e maxillo-facciale, il nosocomio di Amman conta anche esperti nella riabilitazione post-traumatica e tecniche avanzate per la ricostruzione degli arti. Come il 3D, che scansiona l'arto esistente per riprodurre quello perso.

Da quando è ad Amman, Mounir ha iniziato a comporre versi. Non li scrive, né li appunta su un telefono. Dice che gli vengono alla mente, spontanei. E che lì restano memorizzati. Parole che parlano di quiete, gratitudine e speranza. Tra le corsie, gli infermieri giordani e gli altri pazienti hanno preso a chiamarlo “il poeta”. “Non lo sono – spiega Mounir – questi versi servono a me”.

Gilberto Mastromatteo - Massimo Lauria

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