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La moda islamica per tutti

Storia di due ragazze - Keltoum e Fatiha - che unendo determinazione e sogno hanno aperto il primo negozio di modest fashion

  • 12 gennaio 2019, 08:47
  • 22 novembre, 23:22
04:36

Hijab Paradise

RSI/Filippo Fiorini 12.01.2019, 08:00

  • ©Filippo Fiorini

Una necessità oggettiva e un sogno lontanissimo: sono questi gli elementi che Keltoum e Fatiha hanno messo in campo per creare quello che da qualche mese è diventato il primo negozio italiano di modest fashion, l'abbigliamento che rispetta i precetti della fede islamica, ma strizza anche l'occhio all'eleganza e alla moda del momento. Poco più di vent'anni entrambe, la decisione di indossare il velo in pubblico in piena adolescenza e senza imposizioni famigliari, qualche risparmio duramente accantonato e una domanda che diventa una risposta: «Perché non ci sono negozi in cui le donne musulmane possano trovare vestiti carini?». «Facciamocelo da sole, anzi, incominciamo così, ma l'obiettivo sarà creare una nostra griffe e un franchising per la distribuzione».

«C'è stato un momento della mia vita in cui ho sentito il bisogno di approfondire i principi della fede ed anche se ancora non indossavo fisicamente il hijab (il velo che copre fronte, collo e orecchie), era come lo portassi già. È stata una scelta autonoma e lo vivo come un modo per comunicare il fatto che credo in certi valori», spiega Fatiha e Keltoum approfondisce: «Mi è capitato che mi chiedessero di prendere posizione sul movimento delle donne iraniane che rivendica il diritto di non indossare il hijab ed è proprio pretendendo di poterlo usare io, che appoggio la loro libertà di non farlo».

Certo, le difficoltà non sono mancate: dover rinunciare a un posto di lavoro perché c'era l'imposizione di presentarsi senza il copricapo, qualche battuta tra il serio e il faceto, tipo: «Mi raccomando, che quel velo non diventi un burqa». Ma Fatiha e Keltoum non sono tipi da lasciarsi intimidire: «Tu, donna, se hai bisogno di una cosa, falla. Non aspettare che siano altri a farla per te».

Filippo Fiorini

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