Tijuana è, nell'immaginario collettivo, la capitale dei deportati del mondo. Un luogo di frontiera, dove si passa velocemente, e, se vi si rimane più a lungo, è solo per aspettare le carte necessarie per attraversare la frontiera. Una delle città piu' povere nel Messico del Nord, con un tasso di criminalità tra i piu' alti del Paese. Eppure quando Tijuana, lo scorso maggio, si è trovata confrontata con uno dei più incredibili flussi migratori degli ultimi anni, non si è tirata indietro e ha messo la solidarietà prima di ogni altra cosa.
Oltre 7000 cittadini haitiani avevano attraversato il continente americano. Dopo un lungo viaggio che dai Caraibi li aveva portati in Brasile, erano approdati a Tijuana nella speranza di un visto per gli Stati Uniti. Migliaia di persone scappate da uno dei Paesi più poveri del pianeta in una città povera di ricchezza e sbocchi futuri.
"Molti di loro stanno aspettando risposte dal governo di Washington. Altri hanno perso le speranze e hanno deciso di rifarsi una vita qui in Messico" racconta Padre Gustavo Banda che per i nuovi arrivati ha costruito un centro di raccolta (con tanto di refettorio e chiesa) in un quartiere della citta' che molti chiamano ormai "La piccola Haiti".
Gli arrivi ora sono terminati. Gli haitiani hanno comunicato in patria che l’ingresso negli Stati Uniti è complicato dalla volontà di Washington di non concedere il visto da ‘rifugiati di guerra’. A Tijuana rimangono migliaia di haitiani intenzionati a rifarsi una vita in Messico. Studiano da cuochi, infermieri e muratori, lavoreranno a un passo da quello che anche per loro era... il sogno americano.
Riccardo Ferraris
ndr: questa è l'ultima puntata del nostro viaggio a Tijuana. Le altre nei correlati.