Il caffè a Napoli è assai più di una bevanda. È un vero e proprio rito con regole e tradizioni specifiche. Una delle regole è quella della cuccumella, la caffettiera inventata nel 1819 da un francese che viveva in città e che poi i napoletani hanno fatto propria. Sebbene sia stata negli anni sostituita dalla più semplice moka, nelle case dei napoletani il caffè delle occasioni si prepara con la cuccumella.
“Se c’è una cosa che rende il rito napoletano del caffè un unicum è l’aspetto familiare”, spiega la professoressa Helga Sanità, antropologa all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. “A Napoli – continua – esiste un rituale secondo il quale tutti i giorni, e anche più volte al giorno, la famiglia si riunisce intorno a un tavolo o su un divano per prendere il caffè insieme. E anche al di là della famiglia, l’aspetto fondamentale del rito napoletano è quello della socializzazione. Il caffè non è una bevanda, è un momento per stare insieme”.
Un rito che ora la Regione Campania vuole preservare candidandolo come patrimonio immateriale dell’umanità all’Unesco. Una candidatura che però ha trovato un ostacolo: un gruppo di imprenditori triestini che vorrebbe candidare il più generico espresso italiano. Una commissione formata dai rappresentanti delle due fazioni, in questi giorni, sta cercando una mediazione.
Mario Messina
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