Sono passati 25 anni dall’inizio dell’assedio di Sarajevo. La città è cambiata profondamente. Si è ricostruito tanto. Molti dei vecchi abitanti, soprattutto i serbi, se ne sono andati. Ne sono giunti di nuovi, però, da altre regioni della Bosnia Erzegovina. A Sarajevo c’è anche una nuova generazione: quella nata dopo il conflitto.
Nonostante lo scorrere del tempo, l’assedio non può però essere dimenticato. Di certo, se lo sentono ancora addosso gli ex combattenti che difesero la città dall’offensiva dell’esercito serbo-bosniaco, durata più di tre anni e costata la vita ad almeno cinquemila civili.
Chi difese e chi attaccò Sarajevo
Sanel è uno di questi ex combattenti. Non appena il conflitto scoppiò si arruolò come volontario. Non aveva ancora compiuto 17 anni. «Avevamo tre possibilità. Chiuderci in cantina, scappare oppure combattere. Io scelsi la terza», ci ha spiegato, raccontandoci la sua esperienza di guerra (a telecamere spente) e le difficoltà che lui e altri membri della difesa di Sarajevo, soprattutto i più giovani, ebbero nel tornare alla vita civile dopo aver bruciato al fronte anni importanti, tra i migliori della vita di un uomo.
L’assedio è vivo anche nella memoria di chi combatté dall’altra parte della barricata. Abbiamo sentito, a tal riguardo, anche Miroslav Lučić, reduce dell’esercito serbo-bosniaco. Un assediante. Per giunta originario di Sarajevo.
Lučić, che oggi fa il politico a Sarajevo Est (v. correlati), rivendica la legittimità della guerra combattuta da lui e dagli altri militari serbo-bosniaci – «una guerra per i nostri averi e le nostre vite» –, afferma che la causa del conflitto fu la volontà di musulmani e croati di staccarsi dalla Jugoslavia, e sostiene infine che la distruzione di innumerevoli edifici civili e obiettivi non strategici, che fece dell’assedio un “urbicidio” in piena regola, fu necessaria perché la difesa di Sarajevo installava mortai in posti quali gli ospedali.
I 1425 giorni dell'assedio di Sarajevo visti da Miroslav Lučić (che l'assediò)
RSI Info 13.07.2017, 07:30
A distanza di un quarto di secolo l’assedio di Sarajevo e la guerra in Bosnia Erzegovina sono ancora raccontate secondo schemi diversi. Ognuno ha la sue verità, e tra esse è estremamente difficile che si instauri una superficie di contatto.
Matteo Tacconi