La Legge è uguale per tutti, ma non è uguale ovunque. Lo dimostra l’esplosione del fenomeno del sexting (approfondito nella precedente puntata), a cui è strettamente correlato il concetto di revenge-porn, ovvero la diffusione per vendetta delle fotografie intime di un ex partner. Situazioni difficili da controllare e arginare, poiché sul web i dati vengono replicati all’infinito: si cancella di qua, ricompare di là.
La zona grigia
Pubblicare foto e video intimi realizzati senza il consenso delle parti, oppure con minorenni, è sempre un reato sia civile, sia penale. Le conseguenze sono invece meno chiare quando il materiale multimediale viene prodotto consensualmente, da maggiorenni, ma poi diffuso di nascosto, come spiega l’avvocato e insegnante di Diritto di internet alla SUPSI Gianni Cattaneo. La vittima può infatti appellarsi al codice civile, che protegge la personalità e la reputazione, ma difficilmente - se non entrano in gioco altre fattispecie di reato, come ad esempio la pornografia o l'estorsione - a quello penale. Questo perché viene data ancora molto importanza alla responsabilità individuale di chi si presta alla realizzazione di un certo tipo di fotografie.
Politica immobile
Nel 2016 il consiglio degli Stati ha contraddetto il Nazionale, bocciando una mozione della deputata democristiana Viola Amherd (VS), che chiedeva una modifica del Codice penale, atta alla creazione di un articolo di legge apposito per il sexting. La maggioranza dei senatori, in linea con il Consiglio federale, ritiene che il fenomeno vada combattuto con la prevenzione e che i mezzi legali a disposizione siano sufficienti. Il problema, spiega però Viola Amherd, sorge quando "le immagini diffuse non risultano di una gravità tale da poter essere categorizzate come pornografiche, perché in questo caso, nonostante gli effetti devastanti per la vittima, è molto difficile agire".
Alle stonature della legge si reagisce di "concerto"
Dal docente preso di mira sui social network agli studenti ripresi sotto la doccia e messi in piazza sulla rete; Gianni Cattaneo ha trattato diversi casi e spiega che oggi difendere una vittima di sexting significa "applicare più diritti cumulativamente", in un contesto complicato dall'extra-territorialità del web: gli autori del reato spesso si trovano all’estero e non sono perseguibili, dunque non resta che tentare di "arginare la diffusione e contenere i danni". Il difficile è capire, caso per caso, quale via seguire.
Dal punto di vista legale, gli avvocati tendono a perseguire "non tanto l’autore, ma piuttosto tutti gli intermediari che intervengono nella catena della pubblicazione, perché questi soggetti professionisti temono maggiormente la responsabilità rispetto a un autore che spesso non è identificabile". Dal punto di vista tecnico, invece, si può chiedere ai motori di ricerca la "deindicizzazione", ovvero la cancellazione del legame tra il nome e il cognome di una persona e il contenuto lesivo. Questo cosiddetto "diritto all’oblio" può però avere un effetto boomerang. L’avvenuta deindicizzazione viene infatti comunicata sia a chi l’ha chiesta, sia all’autore stesso del contenuto, che spesso si vendica ripubblicando – talvolta in modo ancora più diffuso e violento – lo stesso materiale. Inoltre la deindicizzazione non è sempre facile da ottenere: "Se c’è un qualsiasi elemento pubblico nell’attività del richiedente, Google si ferma e ritiene che il diritto all’informazione del pubblico sia preponderante rispetto alla tutela della sfera privata della persona".
Sui social media: famosi sì, ma a che prezzo!
Anche se il Consiglio federale ritiene che per i social media non occorrano nuove regolamentazioni, il fenomeno è fuori controllo, tanto che lo stesso CEO di Facebook Mark Zuckerberg, dopo aver riconosciuto che Facebook non riesce a moderare il contenuto di tutti i post, ha deciso di introdurre nuovi strumenti per arginare la diffusione di immagini lesive e ha realizzato una guida per spiegare come comportarsi in caso di “revenge porn” . Uno studio pubblicato dal quotidiano britannico "The Guardian" ha rivelato che Facebook dovrebbe analizzare oltre 50mila casi di sexting/revenge porn al mese e valutare ogni contenuto in 10 secondi.
Svizzera troppo garantista? Altri paesi hanno già reagito
Viola Amherd è preoccupata per l’immobilismo elvetico: "In Austria è stato introdotto un articolo di Legge apposta per il sexting, ma anche la Germania tratta il fenomeno in modo molto duro". Berlino ha da poco lanciato un progetto di legge che prevede multe fino a 50 milioni di euro per i giganti del web come Facebook, YouTube e Twitter che non saranno in grado di cancellare o comunque rendere inaccessibili minacce e commenti offensivi e diffamanti, incitazioni all’odio o a reati penali.
Forse un passo nella giusta direzione
Sul web, secondo Gianni Cattaneo, la legalità non può essere garantita, poiché non esiste uno spazio giuridico globale. Detto ciò, una convenzione internazionale per la lotta alla cybercriminalità esiste. La Svizzera la applica dal 2012, ma molti paesi non l’hanno ancora nemmeno sottoscritta, rendendo difficoltoso lo scambio di informazioni tra Stati. Per aggirare i problemi dovuti all'extra-territorialità del web, il consigliere agli Stati Christian Levrat ha depositato una mozione (non ancora trattata alle Camere) per obbligare i social network attivi in Svizzera ad avere nella Confederazione anche una rappresentanza legale, in modo da rendere più rapido lo scambio dei dati. Per esempio, dato che Facebook non ha una sede elvetica, in caso di violazioni della legge il Ministero pubblico deve rivolgersi alla filiale irlandese; una procedura lunga e dall’esito incerto. L’idea del socialista Christian Levrat sarà sostenuta dalla democristiana Viola Amherd, segno che il problema va ben oltre gli ostacoli partitici.
Camilla Luzzani