“True american”, un americano vero si auto-definisce John Bipen, 77 anni, veterano dei marine in Vietnam. Non si può non notarlo, seduto sul marciapiede accanto all’accesso "VIP" della BancorpSouth Arena, il palazzetto dello sport dove tra poco si terrà il comizio di Donald Trump. Ha guidato fin qui per quasi cinque ore da Little Rock, in Arkansas, per ascoltare il presidente. Siamo a Tupelo, la cittadina dove è nato Elvis Presley. Ma sul palco stavolta c’è Donald Trump, che arriva qui alla vigilia del conto alla rovescia: oggi manca un anno esatto alle prossime presidenziali.
Dio, pistole e Trump
A 365 giorni dalle elezioni, uno sguardo alle immancabili bancarelle colme di memorabilia, t-shirt e spille è come un bigino di antropologia trumpiana. “Dio, pistole e Trump” si legge su una maglietta in vendita per 15 dollari. Su un’altra l’acronimo LGBT viene irrispettosamente trasformato in “Libertà-Gun-Birra-Trump”. Un'altra ancora riproduce una "Colt 45", ma si chiama "Trump 45", visto che questo è il 45esimo presidente degli Stati Uniti. "E visto che il numero 44 non ha fatto nulla in 8 anni", recita la scritta. L’ultimo gadget che gli ambulanti tutti afro-americani vendono – forse in vista dell’inverno – è una visiera rossa dotata di confortevole pelo arancione, un ovvio riferimento alla capigliatura mai scarmigliata del leader.
Profondo sud
È in questo “Deep South”, il sud profondo, conservatore e ultrareligioso, che si misura la temperatura del consenso verso Trump. Uno stato “rosso” fino al midollo, dove il colore del partito repubblicano talvolta fiancheggia ancora la bandiera confederata. Uno Stato poverissimo, il Mississippi. Il tallone d’America, schiacciato da statistiche impietose e disparità laceranti. Il 38% della popolazione è afro-americana.
Patriottismo a stelle e strisce
Non è facile diagnosticare in modo accurato con il livello di aderenza dell’elettorato di Trump al presidente, contro cui è stata formalizzata l’indagine per l’impeachment. Trascorrere alcune ore insieme ai suoi supporter permette di coglierne i tratti essenziali. “Vogliamo mostrare il nostro patriottismo” ci spiega il signor Archer mentre lo fotografiamo insieme a moglie e tre figli. L’intera famiglia indossa tute da sci a stelle e strisce. Sembra quasi che una parte di questo paese - spaccato e diviso - si sia appropriata della bandiera americana, divenuta simbolo di appartenenza profonda come questo Sud. La famiglia Archer proviene da Memphis, dove morì Elvis. Ma qui a Tupelo, la musica di Trump è ben diversa.
Impeachment? No, thanks
Una litania conosciuta, quella del presidente. Che si proietta come vittima di una cospirazione democratica per rimuoverlo dall’incarico. La pensa così anche la maggior parte dei suoi supporter. Rivolgiamo la stessa domanda a una ventina di loro: il presidente sarà rimosso dal suo incarico? “Assolutamente no, gli americani non lo permetteranno” risponde il signor Bipen, il veterano dei marine incontrato all’inizio. “Se solo lo lasciassero lavorare, sta facendo cose meravigliose” sbuffa una signora di mezza età. “I democratici hanno paura di perdere le elezioni del 2020, per questo vogliono l’impeachment”, aggiunge Mason, un 19enne dai toni pacati che si definisce “moderato”.
L'identikit del supporter
La versione di Trump come “vittima sacrificale” prende forma all’esterno di questo palazzetto dello sport. Prima ancora dell’arrivo del presidente, chi lo sostiene ha già totalmente assorbito la sua versione dei fatti, propagata da lui attraverso Twitter e corroborata dagli opinionisti della Fox News. È vero, è tutta colpa dei “do-nothing democrats”, i democratici che non fanno nulla per il Paese, come li chiama Trump.
A un anno dal voto, gli americani che hanno scelto Trump nel 2016 (63 milioni, contro i quasi 66 di Hillary Clinton) appaiono solidamente indifferenti a questo impeachment.
Non lo temono. Anzi. Sono convinti che non poterà alla sua rimozione dalla Casa Bianca. “Il Senato a maggioranza repubblicana non lo approverà mai: uno deve aver vissuto da un’altra parte del mondo per non capirlo” mi dice la signora Robin Cabera. Curioso: si esprime con parole identiche a quelle di un intellettuale come David Brooks, in un editoriale di qualche settimane fa sul New York Times.
Solido consenso
I sondaggi dicono che le accuse di abuso d’ufficio contro Trump stanno solo in parte erodendo il suo consenso. Il suo tasso di approvazione oscilla intorno al 43% nelle ultime settimane, secondo il sito “FiveThirtyEight”.
Ma il suo popolo lo sostiene al 90%. Chissà come la pensa il restante dieci per cento.
Il signor David – stivali da cow-boy e bicipiti tondeggianti, viene dal vicino Tennessee - sta per entrare al comizio. Nel suo intervento Trump userà poi parole volgari contro un avversario democratico. “L’impeachment potrebbe ritorcersi contro i democratici e aumentare il consenso a favore del presidente”, dice. “Vorrei che usasse un po’ meno twitter e qualche volta tenesse la bocca chiusa”.
I sostenitori di Trump ad un anno dal voto
Telegiornale 02.11.2019, 21:00