Il mondo chiedeva la Luna e furono gli uomini dell’Apollo 11 a… regalargliela, in quell’indimenticabile notte di esattamente 50 anni fa. Un evento che ebbe l’effetto di ricompattare, almeno per qualche giorno, un pianeta quanto mai diviso. Si faceva un bel parlare, fra gli hippies di allora, di "era dell'Acquario", di pace, di una coscienza più universale dei problemi della gente. Ma la realtà era ben diversa: fra la guerra fredda, gli orrori del Vietnam, la contestazione e mille altre turbolenze, quel 1969 stava invece preparando il terreno ad un decennio molto difficile.
Da sinistra a destra Armstrong, Collins e Aldrin: i tre protagonisti della missione Apollo 11
Eppure forse mai, come in quelle giornate, l’umanità tutta sembrò unita nella trepidazione, nell’entusiasmo e anche in un sano orgoglio per il raggiungimento di un simile risultato. Quel traguardo che solo 8 anni prima, indicato dal presidente Kennedy, era apparso ai più temerario o addirittura inconcepibile.
"Tutto era appeso ad un filo"
Certo, le difficoltà furono impressionanti. Gli Stati Uniti, con i programmi orbitali Mercury e Gemini, erano senz’altro riusciti a colmare il ritardo accumulato sui sovietici nell’esplorazione spaziale. Ma la conquista della Luna richiedeva decisamente di più: maggiori risorse, più investimenti, soluzioni tecnologiche ancora più all’avanguardia. Senza poi contare la portata dei rischi: a evidenziarla nel modo più palese era stata, nel gennaio del 1967, la tragica morte in un’esercitazione a terra dei tre astronauti dell’Apollo 1.
Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee: da sinistra a destra i tre cosmonauti che persero la vita nella tragedia dell'Apollo 1, nel gennaio del 1967
“
I rischi furono effettivamente molto alti”, sottolinea
Bruno Storni, docente universitario ed esperto di tecnologie spaziali. “
Era la prima volta che ci si staccava dall’orbita terrestre. Si dovette costruire un vettore veramente enorme, ma anche una navicella molto leggera e quindi di facile rottura”. Neil Armstrong, Edwin Aldrin e Michael Collins portarono così a compimento una missione veramente irta di insidie. Bastava davvero il minimo inconveniente a pregiudicare tutto, e anche nel modo più fatale. “
La cosa alla fine funzionò, ma tutto era veramente appeso ad un filo”.
L'esperimento elvetico sulla Luna
Un po' di Svizzera sulla Luna
La conquista della Luna sancì un trionfo per la ricerca e la tecnologia sviluppate dagli Stati Uniti. Gli studiosi di altri paesi fecero però indubitabilmente la loro parte, e fra questi spiccarono quelli elvetici. Proprio in quegli anni l’Università di Berna iniziò a profilarsi come un centro d’eccellenza negli studi sull’esplorazione dello spazio. E si deve ad un équipe dell'ateneo, diretta allora dal professor Johannes Geiss, la realizzazione di quella “vela” d’alluminio che Aldrin posò sul suolo selenico per lo studio delle particelle veicolate dal vento solare.
RG 12.30 del 16.07.2019 L'intervista di Emiliano Bos a Jürg Meister, del progetto svizzero di vela solare
RSI Info 19.07.2019, 10:12
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Determinanti, per lo svolgimento della missione, furono le tecnologie di miniaturizzazione volte alla costruzione di uno specifico calcolatore di bordo. E anche in questo ambito fu importante il ruolo di uno studioso elvetico. Infatti presso la Fairchild Semiconductor, impresa californiana che forniva più della metà dei circuiti integrati usati dalla NASA, era attivo "un ingegnere svizzero, Jean Hoerni, il quale inventò il processo che permise questa miniaturizzazione", ricorda Bruno Storni.
Di produzione svizzera erano anche gli obiettivi delle videocamere a bordo della navicella, fabbricati da un'azienda argoviese, come pure i cronografi di elevatissima precisione in dotazione all'equipaggio, forniti dalla Omega.
RG 12.30 del 17.07.2019 Omega sulla Luna: l'intervista di Johnny Canonica
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Tornando alle tecniche di miniaturizzazione, va osservato che fu proprio lo sforzo tecnologico per il programma Apollo a dare un impulso sistematico a questo ambito. E con sviluppi destinati, nei decenni successivi, a insediarsi stabilmente nella quotidianità della gente comune: "L'applicazione della microelettronica è entrata dappertutto", osserva Bruno Storni; "strumenti medicali, pacemaker, strumenti per le telecomunicazioni... e oggi abbiamo in tasca telefonini dotati di 6 miliardi di transistor". Risorse e strumenti, oggi a disposizione di tutti, che in larga misura discendono proprio dagli intensi studi intrapresi per la conquista della Luna.
La Luna torna protagonista
Oggi, dopo una sorta di apparente oblio durato per più decenni, il nostro satellite torna ad attirare l'attenzione delle nazioni. Sono Stati Uniti e Cina, in particolare, a profilarsi nella corsa per un ritorno sulla Luna. Cosa motiva questo rinnovato interesse? C'è la prospettiva di trarre dal suolo selenico "risorse naturali utilizzabili sulla Terra": minerali rari, certo, ma anche risorse "come l'elio 3, che potrebbe essere usato per produrre energia", ci spiega Bruno Storni, Questo isotopo, raro sulla Terra ma con ogni probabilità ben più diffuso sulla Luna, potrebbe infatti essere sfruttato come promettente fonte energetica in processi di fusione nucleare.
I vettori di Space X hanno segnato una svolta nel campo della missilistica, con importanti prospettive anche nell'ottica di un ritorno sulla Luna
Altre motivazioni sono legate alla ricerca, come pure all'ipotesi di una base intermedia sulla Luna per i futuri viaggi su Marte. Ma quando sarà possibile tornare sul nostro satellite? "
Sicuramente non prima di 5 anni", ci dice il nostro interlocutore. "C'è già una capsula che gli americani stanno sviluppando", ma necessita "
ancora di un modulo di atterraggio". Interessanti prospettive sono però offerte da Space X, che "
ha i vettori attualmente più potenti sul mercato". Essi, ricordiamo, sono dotati di stadi riutilizzabili e di motori che possono essere accesi e spenti. La loro elevata capacità propulsiva potrebbe quindi rivelarsi "
utile per lanciare dei carichi importanti anche verso la Luna".
La Svizzera e le prossime missioni
Come potrà articolarsi il contributo elvetico a questi nuovi progetti? Le premesse sono ottime. All'ente spaziale americano, tanto per cominciare, la direzione dei programmi scientifici è attualmente affidata ad uno svizzero, l'astrofisico bernese Thomas Zurbuchen. "Abbiamo il top a livello di management alla NASA", commenta in proposito Bruno Storni.
L'astrofisico bernese Thomas Zurbuchen dirige dal 2016 i programmi scientifici della NASA
La Confederazione, inoltre, "
spende circa 200 milioni di franchi all'anno come contributo all'ESA", l'Agenzia spaziale europea. Nel campo della ricerca, l'eccellenza elvetica continua poi a essere dimostrata da dispositivi come gli spettrometri di massa dell'ateneo di Berna e anche da altri strumenti "
che sono volati su Marte per missioni NASA".
La Svizzera, insomma, mostra di avere tutte le carte in regola per contribuire in modo importante a nuovi, ambiziosi progetti come quello del ritorno sulla Luna: una destinazione, un sogno, che 50 anni dopo l'impresa di Apollo 11 torna a esercitare il suo richiamo.
Alex Ricordi