Manca ancora un mese al voto, ma le elezioni si sono già trasformate in un secondo (ufficioso) referendum sull’uscita del Regno dall'Unione Europea. I futuri rapporti di Londra con Bruxelles stanno egemonizzando lo scontro politico, fin da subito tema principale della campagna elettorale. La Premier Theresa May ha infine ceduto alle lusinghe dei sondaggi che l’accreditano di un vantaggio ampio, oltre 20% sui Labour che equivale ad una maggioranza operativa superiore ai 100 deputati. L’incognita è sempre dietro l’angolo, ma con un simile margine si può solo sbagliare l’entità della sua scontata vittoria. Non certo l’esito, che la Premier si augura suffraghi la sua personale incoronazione (politica). E’ per questo che ha così personalizzato la decisione di andare alle urne. Per avere un’investitura popolare forte ai tavoli dei negoziati con l’Unione. Ma anche per seguire un’agenda di politica interna scritta da lei e non ereditata dal suo predecessore, David Cameron.
Conservatorismo compassionevole
In meno di un anno la Prima ministra, da amministratrice solerte e competente, si è rivelata una spregiudicata leader capace di ribaltare gli equilibri all’interno del partito conservatore. Lontana dall’élite aristocratica da cui proviene Cameron, figlia di un pastore anglicano, una carriera costruita sulla pazienza e la competenza, May è diventata Premier solo perché l’unica tra i Tory a garantire l’unità dopo la lacerazione interna causata dal voto Brexit. Entrata a Downing Street senza la vocazione ideologica di Margaret Thatcher, a piccoli passi ha imposto la sua dottrina politica, un conservatorismo compassionevole, rivolto ad una classe media votata al profitto, ma anche alla mobilità sociale. E’ nella provincia che insegue quei milioni di voti che due anni fa erano andati all’UKIP.
Corbyn minoritario
Il suo slogan elettorale, ripetuto come un mantra, è “una leadership forte e stabile”. Sottintendendo che lei è l’unica a poterla garantire. Non certo Jeremy Corbyn, che gli stessi elettori laburisti ritengono meno capace dell’attuale Premier. Colpa del suo retaggio di massimalista tardo-socialista, anti-capitalista, pacifista. Posizioni che trovano sì una giustificazione in una nazione dove vivono sempre più poveri indigenti. Ma destinate comunque a restare minoritarie, alla vigilia di un confronto, quello con l’Unione, che richiederà anche sfrontatezza, ambizioni e carisma. Solo presentandosi come l’ultimo baluardo contro la Brexit, Corbyn avrebbe potuto raccogliere il dissenso filo-europeista. Ma anche in occasione del referendum dell’anno scorso, ancor più nei mesi successivi, la sua posizione è risultata incerta se non proprio ambigua. Lanciando involontariamente la fuga solitaria di May.
Lorenzo Amuso