Il conflitto in Yemen è entrato nel suo quarto anno e sembra sia solo uno dei primi se la previsione dell’Economist – che ne darebbe la chiusura nel 2023 – dovesse risultare attendibile nei fatti. Attualmente - ed è acclarato - la guerra in Yemen si accompagna con la più grande crisi umanitaria al mondo, con 22 milioni di persone (3/4 della popolazione locale) in disperato bisogno di aiuto e protezione. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, non può fare altro che ribadire la gravità della situazione: milioni di persone senza accesso ad acqua potabile sono il vettore più veloce per la diffusione dell’epidemia di colera, già presente in tutto il Paese, e dell’accrescimento della difterite, che, insieme alla resistenza agli antibiotici, è una crisi sanitaria urgente. In sostanza, “ogni 10 minuti, un bambino sotto i 5 anni muore, per cause che si sarebbero potute evitare”, ha detto Guterres a Ginevra.
Ma per capire come si è arrivati a questo punto, occorre fare un piccolo passo indietro. I ribelli che occupano, in questo momento, il Nord del Paese, gli Huthi, da sempre preoccupati della loro rappresentatività in seno al governo centrale, hanno invaso il Nord con la compiacenza dell’ex presidente Ali Abdulalh Saleh e si sono mossi molto rapidamente sul terreno per minimizzare il controllo del governo dappertutto. Non hanno una strategia politica di lungo corso e non hanno alcuna visione sugli esteri, se si eccettua il fatto che la presenza iraniana sarebbe la base della nuova tecnologia fornita a missili. Gli Huthi minacciano la popolazione di ritorsioni, se non doneranno i figli alla “causa”.
Ma dove sono presenti gli Huthi, la sicurezza è di gran lunga migliore che in altre aree del Paese, come nel Sud, dove il movimento separatista al-Hirak è riemerso, ha creato il Consiglio Politico temporaneo, confinando il governo legittimo a una porzione piccolissima della città e dove l’area è sempre sottoposta ad attacchi da parte dei gruppi terroristici come Aqap, l'al Qaeda della Penisola Arabica.
E dire che tutto questo era cominciato con una rivoluzione, nel 2011, che aveva defenestrato il presidente, Ali Abdullah Saleh, che aveva governato il Paese per 33 anni: il tutto per portare lo Yemen a un’era di democrazia partecipata che non è mai arrivata.
Laura Silvia Battaglia