Scienza e Tecnologia

La paleoclimatologia, un tuffo nel clima del passato

Terza puntata della miniserie #ilclimaspiegato, alla scoperta della branca che si occupa di studiare e analizzare le condizioni climatiche delle epoche precedenti alla nostra

  • Oggi, 06:50
  • Un'ora fa
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Le carote di ghiaccio sono una delle principali fonti di dati nella paleoclimatologia

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Di: Dario Lanfranconi 

Il potere degli anelli e l’importanza delle carote di ghiaccio. No, non stiamo parlando del capolavoro di Tolkien e della finalizzazione di pupazzi di neve, bensì dei dati proxy, che sono tra gli elementi più importanti per i paleoclimatologi.

In questa terza puntata della miniserie RSI Info #ilclimaspiegato, in collaborazione con MeteoSvizzera, ci occuperemo infatti di paleoclimatologia, un’importante branca della climatologia. Ad accompagnarci in questo tuffo nel passato, ma senza dimenticare il presente, il meteorologo Luca Nisi.

Che cos’è la paleoclimatologia

La paleoclimatologia è una branca delle scienze climatiche che studia il clima del passato. Si tratta di un settore specifico della climatologia che si occupa della ricostruzione delle condizioni climatiche di epoche precedenti, non solo degli ultimi decenni o secoli, ma anche degli ultimi millenni o centinaia di migliaia di anni.

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Ghiacciai e mammut di un'epoca ormai lontana: studiarla serve a comprendere meglio il presente

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In paleoclimatologia non si utilizzano gli strumenti meteorologici moderni, poiché le misurazioni sistematiche sono iniziate solo a metà del 1800. Prima di allora, non esistevano dati su vento, temperatura e pressione. Tuttavia, vengono utilizzati elementi naturali che forniscono informazioni sul clima delle epoche passate.

Questa disciplina ha due obiettivi principali: la ricostruzione storica del clima terrestre, in particolare delle temperature, e lo studio dei cambiamenti climatici. Questo è particolarmente importante oggi, in un’era in cui la temperatura sta aumentando a un ritmo molto veloce. Capire se questo è già successo in passato, quando e come, è fondamentale per comprendere in un certo senso a cosa siamo confrontati oggi e i rischi che potremmo dover affrontare.

I dati proxy e le ricostruzioni paleoambientali

I dati proxy sono indicatori indiretti che ci permettono di ricostruire il clima del passato, poiché all’epoca non avevamo strumenti meteorologici per misurare direttamente vento, temperatura e precipitazioni. Questi dati naturali, se interpretati correttamente, forniscono informazioni su vari aspetti del clima e della sua evoluzione. La paleoclimatologia si basa sull’analisi di questi proxy, che sono essenziali per comprendere il clima terrestre nei secoli e millenni passati. L’interpretazione dei proxy richiede un’accurata calibrazione per evitare che i trend osservati siano il risultato di misure non omogenee.

“Tra i proxy più conosciuti ci sono gli anelli degli alberi che, come impariamo già da bambini, che registrano la crescita annuale influenzata da fattori climatici come temperatura e disponibilità d’acqua. Anelli più stretti indicano generalmente anni difficili per la flora, generalmente anni freddi o siccitosi, mentre anelli più larghi indicano anni caldi e umidi. Con l’analisi di questi anelli si può quindi ricostruire le condizioni climatiche passate: i periodi freddi e quelli caldi, così come la loro l’alternanza nel tempo..

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Anelli più stretti indicano generalmente anni freddi o siccitosi, mentre anelli più larghi indicano anni caldi e umidi

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Le carote di ghiaccio, prelevate soprattutto dalle calotte polari – non parliamo quindi dei nostri ghiacciai –, sono un altro importante proxy. Più si scende in profondità, più si trovano strati di neve trasformata in ghiaccio di epoche passate. Le bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio, che si comporta un po’ come un sedimento (più si va in profondità e più è vecchio/antico), sono un po’ come dei piccoli pezzi di atmosfera del passato: contengono informazioni su gas serra come anidride carbonica e metano, oltre agli isotopi dell’ossigeno che aiutano a ricostruire le temperature passate. Anche i sedimenti lacustri e marini sono utilizzati come dati proxy, grazie sempre agli isotopi dell’ossigeno che si accumulano nei sedimenti. Altri proxy includono fossili di vegetali e animali e, questo forse è meno noto, anche le stalagmiti e stalattiti nelle grotte, che contengono tracce chimiche (isotopi ossigeno e carbonio) utili per dedurre informazioni sul clima del passato.

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Ricercatori mentre scavano nel ghiaccio antartico

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È però fondamentale utilizzare una serie omogenea di dati proxy per ottenere una ricostruzione accurata del clima. Conoscendo le incertezze che accompagnano questi dati, è importante sfruttare il maggior numero possibile di fonti per ricostruire il clima del passato in modo più accurato possibile”.

Gli isotopi 16 e 18 dell’ossigeno

In natura, l’ossigeno esiste in tre isotopi: 16, 17 e 18. L’isotopo 17 è molto raro, quindi noi ci concentriamo sugli isotopi 16 e 18, che sono fondamentali per ricostruire le temperature passate e studiare i cambiamenti climatici a lungo termine. Gli isotopi si distinguono per il numero di neutroni nel loro nucleo. L’isotopo 16 dell’ossigeno ha otto protoni e otto neutroni, ed è il più abbondante, rappresenta circa il 99.8% dell’ossigeno sulla Terra. L’isotopo 18, invece, ha due neutroni in più, quindi è più pesante e molto meno abbondante (solo lo 0.2% dell’ossigeno terrestre).

“Durante i periodi caldi, il rapporto tra gli isotopi 18 e 16 rimane invariato perché l’acqua evaporata dagli oceani ritorna sotto forma di precipitazioni. Tuttavia, durante le fasi glaciali dovute ad esempio a variazioni dell’asse terrestre o a eruzioni vulcaniche, l’acqua evaporata, ricca di isotopo 16, cade come neve e non ritorna rapidamente negli oceani, dove di conseguenza aumenta quindi la percentuale di isotopo 18. Questo cambiamento nel rapporto isotopico è un indicatore di periodi freddi.

Luca Mercalli a Ogni maledetto sabato

  • Luca Mercalli - Parte 1, Ogni maledetto sabato 08.10.2016

    RSI Info 08.10.2016, 12:00

  • Luca Mercalli - Parte 2, Ogni maledetto sabato 08.10.2016

    RSI Info 08.10.2016, 13:00

Analizzando le carote di ghiaccio e i sedimenti marini, attraverso l’analisi degli scarti delle conchiglie marine intrappolate, possiamo misurare questo rapporto isotopico e risalire alle temperature degli ultimi 800’000 anni. Le bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio contengono informazioni sui gas serra come l’anidride carbonica, permettendoci di correlare la concentrazione di questi gas con le temperature passate. Questi studi ci aiutano a contestualizzare i cambiamenti climatici attuali rispetto a quelli del passato, fornendo una base solida per comprendere le variazioni climatiche su lunghi periodi. E anche di rispondere a chi si chiede come, a fronte di serie di dati meteorologici che anche nella migliore delle ipotesi non arrivano nemmeno a 200 anni, sia possibile fornire indicazioni sulle temperature e le concentrazioni di anidride carbonica del passato più lontano. In realtà possiamo ricostruire le temperature fino a circa 70 milioni di anni fa, ma i dati più accurati, affidabili e solidi coprono come detto gli ultimi 800’000 anni”. E proprio a questo proposito recentemente in Antartide è stata estratta una carota di ghiaccio che permetterà di ricostruire le temperature fino a 1,2 milioni di anni fa. Lo studio sarà condotto presso l’università di Berna.

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Ghiaccio dal passato

Telegiornale 12.01.2025, 12:30

L’andamento climatico della Terra

Osservando il grafico della temperatura ricostruito fino a circa 70 milioni di anni fa, vediamo che la temperatura del nostro pianeta è cambiata nel tempo. “Durante il Paleocene e l’Eocene, tra 70 e 35 milioni di anni fa, la temperatura era più alta rispetto a oggi. Tuttavia, il pianeta era molto diverso e meno adatto alla vita come la conosciamo noi oggi. Tra 35 e 5 milioni di anni fa, la temperatura era simile a quella attuale,senza significativi cambiamenti. Negli ultimi 15 milioni di anni, le variazioni sononuovamente state più pronunciate, anche su tempi più lunghi rispetto all’aumento di temperature che stiamo vivendo attualmente. . I cambiamenti climatici del passato, come quelli del Paleocene e dell’Eocene, avvenivano su milioni di anni ed erano legati alla dinamica interna del pianeta, come l’attività vulcanica o la tettonica delle placche. In tempi più recenti, tra 5 e 15 milioni di anni fa, le variazioni di temperatura erano principalmente cicliche, legate sia alla dinamica interna del pianeta che ai cicli orbitali. Ogni 100’000 anni circa, si verificano glaciazioni, e attualmente ci troviamo in un periodo interglaciale. Questi cicli, noti come cicli di Milankovic, sono causati dai cambiamenti nell’orbita terrestre e nell’inclinazione dell’asse terrestre.

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Un'illustrazione di un'inondazione dovuta allo scioglimento dei ghiacci al termine dell'ultima era glaciale

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In passato, le variazioni di temperatura avvenivano su scale temporali di decine, centinaia di migliaia o milioni di anni. Oggi, invece, le variazioni avvengono su decine di anni, a causa dell’effetto antropico, soprattutto l’uso massiccio di combustibili fossili. Quindi la domanda da porsi non è se la temperatura cambiava in passato, sia riscaldandosi che raffreddandosi, perché la risposta sarebbe un semplice sì. La domanda da porsi è su che scala temporale sono avvenuti i cambiamenti. Ormai siamo entrati in una nuova era, l’Antropocene, in cui l’uomo, con le sue attività, è in grado di modificare il clima terrestre in tempi molto più brevi. La concentrazione di anidride carbonica è talmente alta che in realtà la temperatura dovrebbe già essere più elevata e i ghiacciai sulle Alpi non dovrebbero più esistere, ma nei sistemi naturali ci sono latenze che rallentano le reazioni. È davvero importante contestualizzare queste scale temporali: non è solo che la temperatura è cambiata in passato, ma quanto velocemente è cambiata.

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Nell'antropocene le variazioni di temperatura avvengono su tempi molto più brevi rispetto a quelle del passato

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Senza protezione del clima, potremmo raggiungere temperature simili a quelle dell’Eocene, un’epoca in cui l’uomo non esisteva e la vita sulla Terra era molto diversa rispetto a come la conosciamo noi oggi. Oggi, lo sviluppo tecnologico ci aiuta ad adattarci ai nuovi climi, siamo quindi per certi aspetti più resilienti, ma il cambiamento climatico potrebbe avere un impatto significativo sulla nostra vita e sulle attività economiche. Siamo una società abitudinale, dove tutto è pianificato secondo delle norme. Facciamo fatica ad abituarci e adattarci a ogni cambiamento improvviso, soprattutto se profondo che porta sconvolgimenti sul normale corso della vita.

+1,5 °C; +2°C; +3,5°C …numeri piccoli dalle conseguenze enormi

Ormai quasi quotidianamente sentiamo parlare di soglie di crescita delle temperature, come quella di +1,5°C rispetto all’era preindustriale fissata nell’accordo di Parigi, o il +2°C considerato un po’ come punto di non ritorno, oppure per le Alpi dove si parla addirittura di +3,5°C. Numeri che a prima occhiata non sembrano enormi, eppure le conseguenze evocate sono nefaste. Insomma, questi aumenti di pochi gradi concretamente cosa vogliono dire, sono tanto o poco e cosa comportano?

“L’osservazione è pertinente. Se pensiamo a una giornata invernale, possiamo uscire la mattina con una temperatura di -2°C e nel pomeriggio, con il sole o il favonio, superare i 10°C, con variazioni di temperatura di 12 o più gradi in poche ore. Tuttavia, quando si parla di temperatura media globale, bisogna pensare che si tratta di una temperatura calcolata su tutte le stazioni di misura del globo e mediata su 365 giorni. Nel 2024, abbiamo registrato un aumento di 1,6°C rispetto all’era preindustriale, superando la soglia fissata dall’accordo di Parigi. Questo non significa che l’accordo sia già superato, poiché prevede un superamento continuo nel tempo. Tuttavia, è difficile che torneremo al di sotto di questa soglia, poiché la curva della temperatura continua a salire. Questi dati possono sembrare astratti per il pubblico, poiché 1,6°C a livello globale può in effetti sembrare poco rispetto alla singola variazione giornaliera della temperatura.

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Il grafico che indica il primo superamento della soglia di 1,5 gradi nel 2024

In Svizzera, l’aumento del 2024 è addirittura di 3,4°C, con un riscaldamento doppio rispetto alla media mondiale. Questo principalmente è dovuto a tre motivi, prima di tutto perché la Svizzera è lontana dagli oceani, che hanno un effetto raffreddante in quanto l’acqua ha bisogno di più energia per riscaldarsi. Lo stesso fenomeno lo osserviamo infatti in diversi paesi limitrofi, mentre ad esempio in Italia – dove il Mediterraneo, pur non essendo un oceano, contribuisce a una mitigazione – il riscaldamento risulta inferiore. Tornando alla Svizzera, un contributo al maggiore riscaldamento lo dà anche la sparizione delle nevi in quota soprattutto durante la primavera e l’estate. Lo abbiamo visto anche la scorsa primavera 2024, quando sono stati registrati quantitativi di neve record nell’alto Ticino, ma poi quando è arrivato il caldo la coltre bianca è sparita in tempi altrettanto record, diminuendo l’albedo (meno superficie bianca che riflette i raggi solari) e permettendo un maggiore riscaldamento del suolo. Il terzo motivo è l’amplificazione artica: il Polo Nord, per vari motivi, si sta surriscaldando a un ritmo il più alto rispetto a tutte le regioni del mondo e ha già superato ampiamente i +3 gradi, regionalmente anche +4° rispetto alla media preindustriale. La Svizzera, trovandosi alle medie latitudini, è sufficientemente vicina a questa amplificazione artica per subirne gli effetti.

Questa la premessa, arrivando invece al nocciolo della domanda: gli scenari climatici peggiori per la Svizzera – quindi senza misure di contenimento delle emissioni – mostrano che, entro la fine del secolo, la temperatura media potrebbe aumentare di ulteriori 5°C, raggiungendo i 6-7°C rispetto alla media preindustriale. Questo scenario estremo sembra essere scongiurato grazie alle misure adottate finora, ma le attuale proiezioni di temperature non sono molto lontane. È quindi  importante capire quanto siano significativi questi aumenti. Ora, per rendere l’idea: la temperatura media mondiale attuale è di circa 15°C, mentre durante l’ultimo massimo glaciale, circa 10-12’000 anni fa, era di circa 7-8°C, quindi appena 7 gradi in meno rispetto a oggi. Con 7 gradi in meno, sopra le nostre teste a Lugano c’erano più di 1000 metri di ghiaccio, a Bellinzona e nell’alto Ticino si arrivava fino a 2’000 metri, due chilometri di ghiaccio. E il livello dei mari si era abbassato di 120 metri… Questo paragone fa capire facilmente quanto anche piccoli aumenti di temperatura possano avere enormi impatti. Se infatti con sette gradi in meno i risultati erano questi, cosa succederà con un aumento di 5 o anche 7 gradi? È chiaro che non parleremmo più di ghiaccio e il livello dei mari non salirebbe di 120 metri, anche solo perché non abbiamo abbastanza ghiaccio fortunatamente. Tuttavia, anche un aumento di mezzo metro o un metro del livello dei mari causerebbe enormi problemi in molte zone costiere, che finirebbero sott’acqua. Anche senza andare lontano, le conseguenze sarebbero significative, basti pensare a una città come Venezia”.

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Allarme acqua alta a Venezia

Telegiornale 13.11.2019, 13:30

Aumento di temperature e CO2, un passato differente… che non mente

Osservando i dati paleoclimatologici, spesso viene evidenziato come nel passato le concentrazioni di anidride carbonica non sempre coincidevano con gli aumenti o le diminuzioni di temperatura… com’è possibile? “Questo è un tema che gli scettici sui cambiamenti climatici menzionano spesso in modo superficiale. È vero che in passato la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera non sempre coincideva con l’aumento o la diminuzione della temperatura. Nei grafici si può vedere come l’aumento o la diminuzione della CO2 spesso infatti era successiva all’aumento o alla diminuzione della temperatura, non le anticipava. Per questo viene utilizzato come ‘argomento forte’ per chi mette in dubbio che il riscaldamento sia causato dall’anidride carbonica e quindi dalle emissioni umane. Bisogna però sottolineare come nell’ultimo mezzo milione di anni il clima della Terra ha sperimentato lunghi periodi glaciali inframmezzati da brevi periodi caldi chiamati interglaciali, i già citati cicli di Milankovic che si verificano circa ogni 100mila anni. L’anidride carbonica atmosferica segue molto fedelmente questo andamento aumentando da 80 a 100 parti per milione in corrispondenza di un aumento di circa 10°C delle temperature dell’Antartico. Andando ad esaminare nel dettaglio si vede comunque che lo sfasamento con la temperatura (ritardo) è di circa 1’000 anni. Malgrado il risultato sia stato annunciato già due decenni fa, molti ancora restano sorpresi da questo fatto. In sostanza alla domanda: il riscaldamento provoca l’aumento della CO2 o è vero il contrario? la risposta giusta è: entrambe le cose.

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Lo studio delle concentrazioni di CO2 passa attraverso l'analisi delle carote di ghiaccio

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Tornando a quanto avveniva in passato: anche la temperatura degli oceani è influenzata dai già citati cicli di Milankovic, che includono i cambiamenti nell’asse terrestre e nell’orbita e causano le ere glaciali. Nei periodi interglaciali, il riscaldamento degli oceani causa anche una diminuzione della solubilità della CO2 nell’acqua e questo provoca una maggiore immissione di CO2 nell’atmosfera. Il meccanismo con il quale gli strati profondi dell’oceano rilasciano CO2 non è ben chiaro, ma si crede che un ruolo lo svolga il rimescolamento verticale. Questo processo impiega da 800 a 1000 anni pertanto l’aumento delle concentrazioni di CO2 viene appunto osservato circa mille anni dopo la iniziale fase di riscaldamento, andando poi anche ad amplifare ulteriormente questo riscaldamento.

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Finora è stato possibile ricostruire le concentrazioni di CO2 fino a 800'000 anni fa, con cicli glaciali circa ogni 100'000 anni

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Oggigiorno però la situazione è ben diversa: negli ultimi 150 anni abbiamo aumentato le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera di oltre il 50%, raggiungendo le attuali 426 parti per milione. E questo sfasamento non si verifica più: ora la concentrazione di anidride carbonica è talmente alta che l’atmosfera e gli oceani sono in una situazione di disequilibrio. Se fossero in equilibrio, la loro temperatura sarebbe molto più alta” conclude Luca Nisi.

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Meteo 06.03.2025, 12:45

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