Nelle profondità oscure degli abissi marini, un bagliore di luce si accende improvvisamente. Per vederlo, però, non bastano gli occhi degli umani, né quelli dei mostruosi pesci che vivono a quelle profondità, ma servono quelli di una macchina così mirabolante che neppure i più ambiziosi scrittori di fantascienza avrebbero immaginato. Sono gli strumenti che compongono il rilevatore di neutrini KM3NeT nel fondo del Mediterraneo, al largo della Sicilia, e che il 12 febbraio hanno spinto un po’ più in là il limite dell’universo visibile, misurando il neutrino più energetico mai osservato e portandoci una storia inedita dallo spazio, ancora da svelare.
Un neutrino da record
Tra le righe 14.02.2025, 15:00
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La collaborazione internazionale ha misurato per la prima volta neutrini a 220 PetaelettronVolt (PeV), la più alta energia mai misurata. Una notizia, è doveroso ammetterlo, che risulta un po’ criptica a chi non è del settore, tra numeri giganteschi, meccanica quantistica e le profondità del Mar Mediterraneo – che sono già dense di mistero. Eppure, se la prestigiosissima rivista Nature ha dedicato la copertina del numero di febbraio a questo articolo, c’è da fidarsi che è una di quelle scoperte che fanno venire la pelle d’oca e vale la pena risalire la notizia a monte per cercare di capire di che cosa si stia parlando.
![KM3net.jpg](https://cleaver.cue.rsi.ch/public/info/scienza-e-tecnologia/2595000-2vta7n-KM3net.jpg/alternates/r16x9/2595000-2vta7n-KM3net.jpg)
Uno dei moduli del rivelatore prima di essere calato in mare
Tanto per cominciare, il neutrino è una particella sub-atomica, ovvero ancora più piccola degli atomi che costituiscono la materia attorno a noi, ed è priva di carica elettrica, caratteristiche da cui ne deriva il nome. Nonostante i neutrini siano abbondantissimi, è molto difficile riuscire ad osservarli anche con la strumentazione più sofisticata. La loro caratteristica dominante, infatti, è quella di interagire raramente con gli atomi facendoli risultare estremamente elusivi. Questo permette ai neutrini di viaggiare nello spazio cosmico per distanze enormi prima di raggiungere la Terra e, il più delle volte, attraversarla illesi, dopo essere stati prodotti da supernove o altri eventi giganteschi avvenuti migliaia di anni luce di distanza da noi. Queste particelle sono coinvolte nei processi nucleari e vengono quindi prodotte continuamente dai fenomeni che avvengono nelle centrali elettriche a fissione, nel Sole o nel Large Hadron Collider, l’LHC, il celebre acceleratore di particelle ad anello presente al CERN. Eppure, l’energia misurata da KM3NeT è di oltre un miliardo di volte superiore a quella dei neutrini prodotti dalla nostra stella e oltre trenta volte più grande di quella del precedente neutrino ad altissima energia.
Messaggeri nello spazio
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A causa della loro sfuggevolezza, i neutrini richiedono infrastrutture molto peculiari per essere osservati, costituite da un’enorme quantità di materiale, spesso acqua, deuterio o cloro. In questo modo, una piccola frazione delle particelle in arrivo interagisce con il liquido e, attraverso processi nucleari molto complessi, fa nascere dei raggi di luce che verranno catturati dai rivelatori, come se fosse una fotografia. Gli scienziati riescono poi a ricostruire le caratteristiche del neutrino originale confrontando i segnali di diversi sensori. Inoltre, è necessario proteggere il sistema dagli altri raggi provenienti dallo spazio o dall’ambiente circostante, perché confonderebbero i sistemi e li renderebbero inutilizzabili. C’è così il laboratorio nazionale del Gran Sasso, in Italia, e Super Kamiokande, in Giappone, entrambi costituiti da grandi vasche di acqua poste nel cuore di una montagna, o IceCube, dove i sensori sono posti all’interno dei ghiacci dell’Antartide. Tra quelli nati più di recente, troviamo il nostro KM3NeT, immerso nelle acque marine, a tre chilometri di profondità. Duecentotrenta moduli di osservazione costituiti da una serie di sensori distanziati a cento metri l’uno dall’altro costituiranno, al completamento del progetto, una griglia sospesa a settecento metri dal fondale marino. Con questi strumenti è possibile anche monitorare le attività delle placche tettoniche, vulcaniche e sentire i canti dei capidogli, che per lungo tempo si ritenevano scomparsi dal Mediterraneo.
![Album-km3net-artist-expression.jpg](https://cleaver.cue.rsi.ch/public/info/scienza-e-tecnologia/2595048-98oytn-Album-km3net-artist-expression.jpg/alternates/r16x9/2595048-98oytn-Album-km3net-artist-expression.jpg)
Un'illustrazione a computer della rete di sensori nelle profondità marine
Difficile dire che cosa abbia prodotto un neutrino di tale energia e che storia ci racconti. Ci sono molti eventi spaziali ad alta energia che possono accelerare le particelle fino a produrre neutrini di questo tipo, ad esempio una supernova, l’evento che accompagna, per così dire, la morte di alcuni tipi di stelle. Una delle ipotesi è il neutrino da 220 PetaelettronVolt appena osservato provenga da zone molto attive presenti nel cuore delle galassia chiamate in inglese active galactic nuclei, ma gli scienziati non sono ancora certi della provenienza della particella e non sono nemmeno ancora riusciti a capire con precisione la sua direzione di provenienza. Un’altra possibilità potrebbero essere i cosidetti neutrini cosmogenici, che si costituiscono dall’interazione dei raggi cosmici ad alta energia con i fotoni presenti nell’universo e che finora non sono mai stati osservati. Mentre si attendono ulteriori analisi dei dati e nuove osservazioni di eventi simili, quello che è certo è che la scienza ha acceso un’altra piccola luce nell’infinito abisso del sapere ed ora possiamo guardare un po’ più in fondo nell’universo.
Il mondo secondo la fisica
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