In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il Telegiornale ha raccolto la testimonianza di una giovane donna che, due anni e mezzo fa, è stata massacrata di botte dall’ex compagno. Lei si chiama Debora Magagna, nel frattempo ha fondato un’associazione per aiutare altre donne. Purtroppo la paura di rivivere la violenza resta. Il suo persecutore minaccia - testuali parole - di voler finire il lavoro. E lei adesso lancia un appello affinché l’uomo - sul quale pesa un decreto d’espulsione - non possa rientrare in Svizzera.
“Sono una sopravvissuta a un tentato femminicidio da parte del mio ex compagno. Ero a letto a dormire quella sera e lui è entrato in camera da letto. Ha iniziato subito a colpirmi al volto con pugni, calci. Calci anche a tutta la testa. Tutta questa parte era sfigurata - spiega Debora Magagna -. Il giorno dopo mi ha spaccato il setto nasale, i denti, le labbra sopra e sotto. Gli occhi erano tutti neri, addirittura un occhio non lo aprivo completamente. Mi ha procurato lesioni anche alla spalla. L’aggressione è andata avanti per un’ora. Sembrava quasi di essere su un ring, un combattimento di boxe. Ovviamente io non potevo minimamente pensare o provare a reagire, tant’è che subito dopo che lui aveva iniziato ad aggredirmi, io ho provato a scappare dalla camera da letto. Non sono riuscita, sono caduta a terra e lì è come se avessi detto: stasera muoio. E l’unica cosa che ho fatto è stata provare a ripararmi il volto con le braccia. Però non è servito a niente”...
La testimonianza di Debora Magagna, la versione integrale
RSI Info 25.11.2024, 23:45
Cosa è successo poi? Come ne sei uscita viva?
“A un certo punto non sentivo più la sua presenza su di me, perché mi ha praticamente trascinata in tutta la casa, fino ad arrivare a portarmi in garage. Quando ho capito che non avevo più la sua presenza addosso, ho iniziato con i punti d’appoggio che c’erano in garage: la scarpiera, il mobile, il muro... a trascinarmi fuori dall’abitazione e ho iniziato a correre. Sono andata dai vicini di casa, picchiando la porta per svariati minuti consecutivi, finché poi questa signora, questa vicina di casa, ha aperto la porta, ha visto le mie condizioni (io ero completamente sotto shock), e quindi, poi, ha chiamato i carabinieri e l’ambulanza.
Cosa ti ha detto tua mamma?
“Mia mamma non sapeva niente. Quando è successa la violenza in Italia, mi hanno chiesto di poter chiamare qualcuno. Io avevo detto: assolutamente no. Non me la sentivo di farla chiamare, di dargli il dispiacere di vedere una figlia in quelle condizioni così gravi”.
Era la prima volta che succedeva?
“Avevo subito una prima aggressione un mese prima, non così grave: ero stata in ospedale qui a Lugano, alla clinica Montecucco. Mi aveva procurato una contusione alle costole con ematomi sulla schiena. Il problema è stato che ho provato a chiedere aiuto indiretto, cioè a modo mio. Lì per lì. Io comunque ero in quella fase dove si pensa: è colpa mia, sto esagerando, devo andare avanti, devo mantenere comunque il mio posto di lavoro (perché io stavo facendo un terzo diploma).
Lui ha precedenti in Svizzera, giusto?
“Sì. Lui è il ragazzo che ha fatto parte del tentato omicidio di Gravesano, nel 2017, dopo il Carnevale di Bellinzona. Ha fatto tre anni di carcere per tentato omicidio. Ha avuto un’espulsione per cinque anni dalla Svizzera. L’espulsione non l’ha mai rispettata ma parlo del periodo nel quale l’ho frequentato io, perché l’ho conosciuto qui, non l’ho conosciuto in Italia e all’inizio non sapevo niente”.
Adesso sta arrivando una scadenza ben precisa. Cosa ti terrorizza?
“Mi terrorizza il fatto che il 18 dicembre lui termina l’espulsione dal territorio elvetico. Il 17 ottobre quest’anno sono stata contattata dalla sua ex compagna dopo di me, ridotta in fin di vita, come me. Lo ha denunciato. Quindi è scattata la procedura del codice rosso, ma non stanno facendo niente. Mi ha informato del fatto che comunque lei era molto preoccupata per me, perché lui mi fa controllare da una persona (mi ha dato nome e cognome). Dice praticamente che il 18 dicembre terminerà quello che non ha terminato prima, quindi che il suo intento è quello di ammazzarmi, anche perché (dice) “sono io quella che gli avrebbe rovinato la vita”. Io non avrei dovuto denunciarlo - sostiene -. Io gli avrei rovinato la reputazione, dice, con gli amici, con la famiglia, perché io non sono mai stata in silenzio. L’anno scorso avevo anche fatto un post a livello social, che aveva preso una certa piega e quindi diverse condivisioni, visualizzazioni, con la sua faccia e come mi ha ridotto. Questo l’ho fatto perché volevo anche tutelare tutte le altre ragazze e donne. In alcuni casi ci sono riuscita, perché lui aveva anche una relazione con una ragazza di Lugano di 23 anni. Quando lei ha scoperto, vedendo il mio post, gli ha fatto riavere le chiavi di casa e si è distaccata. Quindi il mio intento era proprio quello di fare anche capire: questa persona ha un’espulsione ma entra lo stesso, chiunque la veda chiami il 117. Quello che mi preoccupa è che comunque più volte mi sono sentita dire dalle istituzioni svizzere: “Ti è successo in Italia, non possiamo fare niente. Possiamo intervenire qualora ti dovesse succedere qualcosa”. Questo fa male perché, più di quello che mi è successo, cosa deve accadere ancora? E siamo in tante in questa situazione. Non ci si può sentire rispondere con una frase del genere, anche perché parliamo di una persona che è sì un cittadino italiano ma è cresciuto qui, ha fatto le scuole dell’obbligo qui, ha fatto un apprendistato, ha lavorato qui, ha commesso dei reati (quindi è già conosciuto), ha rifatto lo stesso reato su una donna e c’è questa seconda ragazza che lo ha denunciato quest’anno... Cosa stiamo aspettando? Di vedere un’altra testata giornalistica con scritto: si poteva evitare perché tutti sapevano ma nessuno ha fatto niente?
Dove trovi la forza per denunciare così, in maniera diretta?
“Sono ancora giovane... Continuo a lottare per non lasciarmi andare, perché dopo due anni e mezzo ritrovarsi ancora una volta in una situazione del genere non è facile. Ho sempre detto che comunque la mia fortuna è quella di non avere figli (e quindi sicuramente è una cosa in meno). Lo sto facendo per me stessa, ma anche per tutte quelle donne che non possono più parlare, sorridere, pronunciare la parola mamma, papà, nonna, nonno. E trovo anche che se ne parli troppo poco, che la gente ancora a livello sociale non si renda conto di questa piaga. Perché c’è tanta omertà. Se magari in Italia si espongono fin troppo determinate cose, qui non se ne parla proprio e me ne rendo conto anche dai commenti sui social. In Italia ci sono programmi TV come: “Amore criminale”, “Sopravvissute”... Anche qui dovrebbero creare qualcosa, perché è giusto... C’è anche una grandissima parte di sopravvissute... poi magari c’è chi non riesce a uscire allo scoperto... Però secondo me bisognerebbe creare un canale”...
Tu che ci stai mettendo la faccia, cosa diresti a una donna che sta vivendo quello che hai vissuto tu?
“Oggi, alla luce di quello ho passato, dico: qualsiasi situazione di violenza si stia vivendo, bisogna cercare di allontanarsi, di chiedere aiuto, di parlarne con qualcuno, di non chiudersi in se stesse, di denunciare. Però è una strada molto difficile, lunga e dolorosa e sei da sola. Però il click che ho fatto, quando ho deciso di denunciare un mese dopo la mia violenza (indipendentemente dal fatto che ho denunciato in Italia), è stato: se io devo vivere nel terrore e nella paura lo voglio fare, va bene, ma lo faccio avendo lasciato traccia di tutto. Quindi ho denunciato (e ho aggiunto integrazioni di denuncia per gli episodi che si sono verificati in seguito), ho segnalato, ho fatto tanto rumore in due anni e mezzo. Lo sto facendo ancora adesso perché oggi dico che qualsiasi cosa mi succederà, dal 18 dicembre in avanti, la colpa non sarà tanto del mio ex compagno, ma è delle istituzioni italiane e svizzere”.
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