Nella storia economico-giudiziaria elvetica si sta scrivendo un nuovo capitolo: i processi contro le banche svizzere chiamate a sedersi direttamente al banco degli imputati. Il primo istituto finanziario a finire davanti ai giudici è stata la Falcon Private Bank lo scorso dicembre, condannata al pagamento di una multa di 3,5 milioni di franchi per riciclaggio di denaro e per non aver adottato le precauzioni necessarie a prevenire il reato. Ora tocca al Credit Suisse difendersi da queste accuse nel corso del processo apertosi lunedì di fronte al Tribunale penale federale.
Altri istituti elvetici prossimamente saranno chiamati a comparire di fronte alla giustizia, dopo che il Ministero pubblico della Confederazione ha adottato una nuova strategia riguardante l'applicazione dell'articolo 102 del codice penale. Permette di punire le imprese che non hanno saputo impedire reati. Il reato, punibile con una multa fino a 5 milioni, è stato introdotto nel 2003. Per quasi 20 anni la sua applicazione era stata limitata solo alle multinazionali. Poi sono arrivati i casi di Falcon e del Credit Suisse.
"Il diritto è diventato più severo e banche e banchieri sanno che rischiano sanzioni se non operano correttamente", spiega alla RSI Federico Franchini, giornalista della rivista online Gotham City, specializzata in criminalità economica. "Il cambiamento - prosegue - si riflette anche nel numero di segnalazioni inoltrate all'ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro della polizia federale. Queste segnalazioni, per la gran parte provenienti dall'ambito bancario, sono sestuplicate dal 2010 al 2019. Nel solo 2020 erano oltre 5'300. Di queste più di 1'760 sono sfociate in denunce ai ministeri pubblici cantonali e 175 in denunce alla procura federale, che sta conducendo diverse inchieste contro le banche svizzere, di cui un paio basate a Lugano. Queste inchieste sono legate a vicende di respiro internazionale come l’affare brasiliano Lava Jato o al fondo malese 1MBD. Vi sono poi altre inchieste in corso che coinvolgono non delle banche, ma delle multinazionali attive nel commercio di materie prime o nella produzione di banconote".
Le leggi per combattere il riciclaggio in Svizzera non difettano e anche nel confronto internazionale sono buone, secondo il direttore dell’istituto di diritto economico all’Università di Berna Peter V. Kunz che evidenzia però l'esistenza, ancora oggi, di un problema legato ai bonus. "Sono ancora molto buoni e generosi per gli standard internazionali. Ciò che è del tutto giustificato se si guardano i risultati delle banche. Però, spesso il problema sorge anni dopo, quando diventa chiaro che certi direttori di banca hanno agito in modo irresponsabile. Per esempio: non hanno notato il riciclaggio di denaro o non lo hanno segnalato. E in un tale contesto i bonus elevati creano un incentivo a sostenere la cattiva condotta. Penso che le banche dovrebbero fare maggiori sforzi per prevedere la possibilità di recuperare il denaro dai direttori di banca che hanno trascurato i loro doveri nei casi di riciclaggio di denaro. Si può fare. Dovrebbe però essere esplicitamente previsto nei contratti di lavoro".
Nel frattempo l'atteggiamento delle banche è evoluto ed oggi probabilmente al Credit Suisse non si accetterebbero più decine di depositi in contante come quelli di cui si discute al processo in corso a Bellinzona. Ed è cambiata anche la strategia del Ministero pubblico della Confederazione nel cercare di applicare la legislazione. Nel frattempo però anche i riciclatori hanno aggiornato i loro modi di agire. Oggi il lavaggio del denaro solitamente è nascosto dietro a complicate transazioni che, al primo acchito, appaiono legittime se non legali.