C’è chi l’ha definita coraggiosa, chi scandalosa... parliamo della dichiarazione votata dal Consiglio degli stati ieri, mercoledì, nella quale invita il Governo a non dare seguito alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che ha condannato la Svizzera in materia di politica climatica.
Considerato che da anni si constata una certa facilità tra i politici ad attaccare tribunali e giudici, qual è il confine tra critica legittima e violazione della separazione dei poteri? Quand’è che lo svilimento delle istituzioni comincia a essere un problema per lo Stato?
Questioni di fondo, che SEIDISERA ha affrontato con Lorenz Langer, professore di diritto pubblico e internazionale all’Università di Zurigo.
“Sui contenuti comprendo la posizione del Consiglio degli Stati. Sulla forma invece sono meno convinto: ci si può chiedere quale sia il segnale, se uno Stato come la Svizzera dice di non rispettare una sentenza della Corte europea sui diritti dell’uomo. Poi c’è la questione della separazione dei poteri, che si può vedere dai due lati: per il Consiglio degli Stati è stata la Corte a mettersi a fare politica. Ed è questo aspetto che dico di comprendere”.
Ma non c’è un punto secondo lei in cui la critica diventa problematica?
“Diventa problematica se va aldilà di una singola sentenza, se mette in pericolo l’indipendenza dei giudici. Sarebbe il caso se per esempio dopo una sentenza un giudice al Tribunale federale non venisse rieletto. Ecco, questo sarebbe grave. Altrimenti è legittimo mettere in discussione le decisioni dei tribunali, in particolare se - come in questo caso - hanno un effetto a lungo termine”.
Non solo Berlusconi in Italia in passato, o Trump attualmente negli Stati Uniti... la delegittimazione di giudici e tribunali sembra abbastanza in voga nelle democrazie ultimamente. Concorda?
“Non sono certo che sia cambiato qualcosa. Ricordo ad esempio le critiche negli anni ‘90 al Tribunale federale per la sentenza sui crocifissi nelle scuole e più tardi per le decisioni sulla naturalizzazione. Negli anni ‘30 negli Stati Uniti il presidente democratico avrebbe voluto cambiare la Corte suprema, per una sentenza che non gli piaceva. È vero che negli ultimi anni al Tribunale federale sono state attribuite sempre più competenze, la politica delega ai giudici decisioni che spetterebbero a lei, e quindi i tribunali si immischiano di più nel dibattito politico... e di conseguenza aumentano anche le critiche nei loro confronti”.
Qual è l’effetto peggiore che possono avere gli attacchi politici alla legittimità dei tribunali?
“È grave quando viene minata l’indipendenza dei giudici, ad esempio quando i governi tentano di farli decidere in un certo modo. Ma è una questione di equilibri e di ruoli: anche i tribunali devono stare attenti e non possono provocare troppo. Non c’è un sistema perfetto, sta alle istituzioni attenersi ognuna al proprio ruolo”.
Cosa intende quando dice “non devono provocare”, di norma si pensa che i tribunali debbano essere indipendenti dagli umori della politica e della popolazione…
“Intendo che i tribunali non stanno al di fuori della società. Non dico che devono decidere come vorrebbe una maggioranza politica, ma non possono non tenerne conto. Non possono creare nuove leggi o plasmare la società. Infatti alle Anziane per il Clima il Tribunale federale aveva detto che avrebbero dovuto percorrere la via della politica con la loro rivendicazione, ad esempio lanciando un’iniziativa. Certo, in passato ci sono state sentenze che hanno anticipato i tempi, come sulla parità di genere o sull’orientamento sessuale. Ma non può essere la regola. I giudici non possono essere l’avanguardia della politica, altrimenti perdono legittimità, che è un po’quello che secondo me sta capitando con la sentenza di Strasburgo sul clima: ora c’è chi chiede di abbandonare la Convenzione sui diritti dell’uomo, ma non sarebbe certamente nel nostro interesse”.